“Ho denunciato le violenze del mio compagno e mi hanno tolto mia figlia. Non la vedo da 9 anni”. La storia di Ginevra Amerighi
“Arianna aveva 18 mesi quando è stata portata via. Era proprio piccola: quella mattina le avevo dato il latte. Mi guardava con i suoi occhi dentro gli occhi miei, e me l’hanno portata via. Da allora non l’ho più vista”. Ginevra Pantasilea Amerighi è un’insegnante di scuola elementare di 46 anni. È romana, ma da tre anni vive e lavora a Lipari. Non riusciva più a rimanere nella città in cui sua figlia Arianna vive col padre, il suo ex compagno, l’uomo che lei ha denunciato e che nel 2018 è stato condannato in primo grado per lesioni. Ginevra non può vedere né sentire Arianna da 9 anni. A impedirglielo è un provvedimento “provvisorio” del tribunale dei minori.
Arianna da allora vive col padre, un imprenditore romano il cui nome è finito sui giornali a settembre 2016, quando è stato coinvolto nelle indagini della Procura insieme a Massimo Nicoletti, figlio dell’ex cassiere della Banda della Magliana, per il caso di Stefano Ricucci e l’inchiesta sulla corruzione del giudice Nicola Russo.
La storia di Ginevra Amerighi
Ginevra ha conosciuto F.M., l’uomo che sarebbe diventato padre di sua figlia, a luglio del 2008. All’epoca non sapeva che lui era stato denunciato per violenze dalle due ex mogli. I due si rivedono a settembre e dopo poco tempo vanno a convivere. A Natale lei rimane incinta.
“Aveva molta fretta di vivere insieme, fare un figlio”, racconta Ginevra a TPI. “Io ero innamorata, era stato un colpo di fulmine quando ci siamo incontrati. Ma da quando sono rimasta incinta lui ha cambiato completamente atteggiamento nei miei confronti. All’inizio era gentile e premuroso, tutto quello che una donna può desiderare. Poi ha avuto una trasformazione improvvisa. Ha iniziato a essere possessivo, non voleva che andassi più dai miei, dove avevo lasciato anche il mio cane e il mio gatto perché non voleva che li portassi a casa sua. Non potevo più vedere o sentire le mie amiche. Mi ha fatto anche cambiare numero di cellulare”.
“Era sempre più violento negli atteggiamenti, non con le mani”, spiega. “I primi tre mesi di gravidanza li ho passati così, tra i silenzi, le atmosfere pesanti, con lui che non mi faceva mai sapere cosa faceva e se sarebbe tornato per cena. Dopo ha iniziato a essere violento anche con le mani, mi offendeva e usava intimidazioni e minacce. Mi strattonava e se provavo a reagire mi urlava addosso che non avrei dovuto mettermi contro di lui”.
Durante uno di questi episodi di violenza, a marzo 2009, Ginevra ha delle perdite di sangue, rischia di abortire e decide di andarsene, nonostante le minacce. “Lui e sua madre mi dicevano che se mi fossi messa contro di loro avrei perso, che mi avrebbero tolto la bambina, che l’avrebbero affidata a loro perché erano ricchi”, racconta. “Pensavo che una cosa del genere non fosse possibile”.
Le violenze e il coraggio di denunciare
Nei mesi successivi, Ginevra racconta che l’ex compagno continuava a perseguitarla. “Quando ero incinta di sei mesi mi ha invitata a cena, pensavo volesse riconciliarsi e volevo una famiglia unita per mia figlia”, dice. “Invece mi ha proposto dei soldi in cambio della bambina. A quel punto me ne sono andata dal ristorante, sono tornata a casa in taxi”.
Per due mesi i due non hanno nessun contatto. Poi decidono di fare ancora un tentativo e a settembre Ginevra dà alla luce Arianna. “Lui non è venuto neanche in ospedale”, racconta lei. “Quando la bambina aveva 40 giorni un giorno abbiamo avuto un brutto litigio. La stavo allattando e sua madre mi ha intimato di darle la bambina. Io le chiesi di uscire dalla stanza, dicendole che non poteva comportasi in questo modo. Lui mi è venuto addosso e mi ha detto di obbedire a sua madre. Mi ha strattonata e sbattuta contro la spalliera del letto, rischiando di farmi cadere sopra la neonata. Mi ha iniziata a colpire sul seno. È stato il nostro collaboratore domestico filippino a intervenire, portando via sua madre. Io mi sono chiusa in bagno con la bambina e ho chiamato la polizia”.
“Gli agenti dissero che non potevano fare niente, perché non era in flagranza di reato. Andarono via dicendoci di cercare di fare la pace. Quando sono usciti lui ha minacciato di uccidermi, ha detto che dovevo andare via dalla casa, altrimenti mi avrebbe ammazzata. A quel punto sono tornata dai miei, ma lì è iniziata la sua persecuzione, perché voleva che la bambina stesse con lui”.
“A Natale mi ha proposto di tornare insieme, e io pur di farlo smettere ci ho provato di nuovo”, racconta. “Aveva preso una casa in affitto per me e la bambina, perché aveva paura che occupassi casa sua con nostra figlia, non voleva più che ci rimettessi piede. Dopo neanche 10 giorni di convivenza difficile mi ha aggredita di nuovo, davanti alla bambina che aveva sei mesi e piangeva legata seggiolone”.
“In quel momento speravo solo che non mi togliesse le mani di dosso, perché avevo paura che se la prendesse con lei appena avrebbe finito con me”, confessa Ginevra. “È stato il momento più brutto che ho vissuto in vita mia, ma quando ho visto che invece di andare verso la bambina andava verso la porta e scappava di casa ho tirato un sospiro di sollievo. Ho chiamato il centro antiviolenza, mi hanno detto di andare a denunciare. È quello che ho fatto, ma da quel momento ho finito di vivere, perché ho perso la bambina”.
Arianna viene portata via
Contro F.M. inizia un processo per lesioni, che si è concluso nel 2018 con la condanna in primo grado. Parallelamente, davanti il Tribunale dei minori inizia la battaglia legale per l’affidamento di Arianna. L’avvocato del padre della bambina chiede una perizia psichiatrica su Ginevra. La diagnosi è quella di “tratti istrionici e prognosticati comportamenti imprevedibili nel futuro”. A firmarla è Marisa Malagoli Togliatti, che invita Ginevra “a farsi curare” presso un centro di salute mentale. “Questo disturbo non è neanche nei manuali di psicologia”, sottolinea Ginevra, che negli anni successivi è stata sottoposta ad altre perizie che confutano il risultato della prima. “Mi è stato affibbiato così, senza neanche una motivazione”.
La mattina del 23 marzo 2011, Ginevra esce con Arianna per fare una passeggiata ma si trova davanti diverse persone tra assistenti sociali, carabinieri e un’ambulanza. “Mi mostrano un decreto del Tribunale dei minori che mi toglie Arianna, che stabilisce che lei sarebbe dovuta andare a vivere con il padre e io non avrei più dovuto avere alcun contatto con lei. Mi hanno detto che se fossi andata a curarmi al dipartimento di salute mentale me l’avrebbero fatta rivedere, io ci sono andata ma non è servito”.
Quando le portano via sua figlia Ginevra è devastata. “La sera lei non c’era più, avevo solo voglia di morire”, dice in lacrime a TPI. “C’erano i suoi giochi, le impronte delle sue manine sui vetri, c’era tutto e non c’era niente. Non so come ho fatto a mangiare, a lavarmi, a fare tutto quello che ho fatto fino ad oggi”.
“Il provvedimento era provvisorio e lo è ancora, dopo 9 anni”, spiega Ginevra. “Per questo non posso impugnarlo né in appello né in Cassazione. Non posso neanche adire alla Corte europea”. Il decreto era uscito il 15 marzo 2011. Pochi giorni prima, l’ex compagno di Ginevra era stato rinviato a giudizio di lui per violenze e maltrattamenti.
Dopo la condanna in primo grado per lesioni, l’udienza in Corte d’Appello viene fissata due anni dopo, il 7 febbraio 2020, ma in quella data è stata rinviata di un mese. Un nuovo rinvio la fissa a novembre, ma ormai il reato è vicino alla prescrizione.
Gli ultimi anni
Ginevra Amerighi non si è mai arresa in tutti questi anni e da tempo ormai ha iniziato ad andare in televisione per chiedere aiuto. Comincia a partecipare a singhiozzo a trasmissioni televisive, parla ai giornali, ma per anni non succede nulla. “Erano tutti restii a parlare di casi di minori, era diverso 10 anni fa. Non se ne parlava come oggi”, racconta.
Nel 2017 Ginevra presenta un’istanza al Tribunale dei minori per rivedere Arianna, ma per due anni non arriva risposta, neanche dopo la condanna dell’ex compagno. Dopo l’ennesimo articolo su un giornale, il Tribunale manda gli assistenti sociali a casa di Ginevra e nella scuola in cui insegna, per controllare le sue condizioni di vita.
Nella relazione, che TPI ha potuto visionare, si sottolinea la “spontaneità e trasparenza” della donna, che nella sua professione di insegnante “non ha mai riportato note di demerito, richiami o problemi di alcun tipo con bambini, colleghi o genitori”. Il documento si conclude sottolineando che “è persona responsabile, obbiettiva, con un pensiero lineare e critico” e che “non presenta turbamenti o idee prevalenti o disturbi anche di lieve entità che possano giustificare una indagine psichiatrica”.
Niente è riuscito a fermare la lotta di Ginevra, che negli scorsi mesi ha scritto anche lettere al Papa e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per rivedere Arianna. “Sono sicura che mia figlia ha bisogno di me, che mi ha cercata in tutti questi anni”, dice. Il tribunale dei minori ha fissato un’udienza per il primo aprile 2020. Intanto il 23 marzo saranno 9 anni che Ginevra non vede sua figlia.
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