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    “Ho denunciato le violenze e mi hanno tolto mio figlio: non lo vedo da un anno e mezzo”: la storia di Giada

    Giada Giunti con il figlio
    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 25 Nov. 2020 alle 12:23 Aggiornato il 25 Nov. 2020 alle 12:45

    “Si continua a parlare di violenza sulle donne, ma di fatto dopo che ho denunciato non solo non sono stata protetta, ma mi hanno tolto mio figlio e sono stata anche rinviata a giudizio”. Giada Giunti è una madre che da un anno e mezzo non può vedere suo figlio. Da quando il bambino, che oggi ha 14 anni, è stato affidato al padre con una sentenza del luglio 2019, la madre può sentirlo solo una volta a settimana, per 20 minuti, e non può ricevere notizie sulla sua vita.

    L’affido esclusivo è arrivato dopo anni di battaglie legali tra i genitori, durante le quali il piccolo Marco (nome di fantasia) ha vissuto anche temporaneamente presso una casa famiglia, dopo essere stato prelevato con la forza a scuola. “Sono quasi 4 anni che hanno sequestrato e tolto mio figlio”, dice Giada a TPI. “Non vivo più, non ho una vita, mi hanno strappato il cuore. Sentirlo piangere e non potergli stare vicino è il dolore più grande”.

    Una scelta, quella dell’affido al padre, che è avvenuta nonostante le lettere e gli audio registrati da Giada durante gli incontri con gli assistenti sociali (e pubblicati da Il Giornale) in cui il bambino chiede di tornare dalla madre e racconta di aver visto il padre picchiare la madre (“Tu sai cosa ci ha fatto a me e a te, lo sai cosa ci ha fatto, che ci faceva stare male”; “Io ho visto che la picchiava e faceva un casino pure qua, davanti a tutti”). “Queste registrazioni dicono che mio figlio vuole vivere con me, ma non sono mai state valutate”, denuncia Giada.

    In questi anni Giada non si è mai arresa: si è incatenata più volte per protesta in piazza Montecitorio, davanti alla Camera dei deputati, e sul suo caso sono state presentate anche tre interrogazioni parlamentari e un’interpellanza. Lo scorso maggio, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, rispondendo a un’interrogazione presentata da Veronica Giannone (segretario della commissione parlamentare per l’Infanzia e l’adolescenza), ha chiesto che venga rispettato “il pieno diritto di ascolto del minore considerato che nel caso trattato sembrerebbe essere completamente trascurata la volontà di quest’ultimo”. Ma finora non si è mosso nulla, né hanno sortito effetto le istanze urgenti presentate dalla madre nei mesi scorsi.

    La storia di Giada Giunti

    “All’inizio pensavo che il mio ex marito fosse molto geloso, solo più tardi ho capito che era oppressivo nei miei confronti. Era ossessionato: niente sport, niente circolo, niente amici”, racconta Giada a TPI. “Ma i veri problemi sono cominciati quando, nel 2010, mi sono ‘permessa’ di lasciarlo. Ha iniziato a minacciarmi, diceva ‘ti uccido, ti ammazzo, ti tolgo casa, soldi, lavoro. Ma soprattutto: non ti faccio vedere più tuo figlio, ti faccio vivere un inferno per tutta la vita’”.

    I giudici del tribunale ordinario, in un primo momento, hanno deciso che il bambino sarebbe rimasto con la madre. “Il mio ex marito ha provato in sede civile a togliermi mio figlio, senza riuscirci, almeno in un primo momento. Poi nel 2013 ha fatto un ricorso in Corte d’appello e ha chiesto la Casa famiglia per suo figlio. La Corte d’appello ha stabilito incontri protetti padre figlio e una dieta priva di glutine, perché mio figlio è celiaco, invece il padre continuava a dargli cibi contenenti glutine”.

    La situazione precipita nel 2014, quando l’ex marito denuncia Giada per abbandono di minore, sostenendo che ha lasciato il figlio al circolo sportivo Due Ponti, dove lei lo accompagnava a giocare a tennis. “L’accusa è stata smentita da circa 250 firme dei soci del circolo che testimoniano che io assolutamente non l’ho abbandonato, e, soprattutto, dall’annotazione della polizia giudiziaria”, racconta Giada. “La denuncia, quindi, è stata archiviata, ma qualche tempo dopo il reclamo del mio ex marito, è arrivata un’ordinanza del Tribunale dei minori che ha chiesto la casa famiglia per mio figlio”.

    Una relazione del 2016 del consulente tecnico d’ufficio (Ctu) nominato dal Tribunale dei minori, che TPI ha potuto visionare, aveva deciso la sospensione degli incontri di Marco col padre perché “inumani, violenti e deteriorati per tutti e prima di tutto per il bambino” e aveva rilevato, nel profilo psicologico del padre, un “disturbo del pensiero” con tratti “istrionici”, “narcisistici” ed “ossessivo-compulsivi”.

    La stessa perizia definisce Giada una madre “simbiotica e alienante” e parla di “un rapporto fusionale col figlio”: definizioni molto controverse su cui gli esperti oggi ritengono inadeguate. “Dicono che ho un rapporto fusionale e simbiotico con mio figlio, dicono che il rapporto è molto forte”, sostiene Giada. “Ma quello è amore, punto e basta. Sono una mamma che cerca di proteggere suo figlio dalle violenze, dalla casa famiglia, che lo ama più della sua vita. Per questo motivo tolgono un figlio alla madre?”.

    Inoltre, le denunce che lei aveva depositato contro il marito – per aggressione, minacce, maltrattamenti e stalking (“Alcune denunce le hanno archiviate dopo 15 giorni, altre dopo 4 anni e 4 mesi, alla faccia della corsia presidenziale”, dice Giada) – vengono ritenute dal pm “strumentali e di pregiudizio per il minore”. Per questo, la potestà genitoriale di Giada viene sospesa.

    Nel 2016 arriva l’ordinanza con cui si dispone che il bambino vada in casa famiglia. “È stato prelevato a scuola da 8 persone, tra cui 5 agenti dell’anticrimine. Lo hanno preso di peso e portato via, dopo tre ore di pianto”, racconta Giada. “Dopo 7 mesi siamo riusciti a farlo uscire dalla casa famiglia e a farlo mandare a casa di mia madre, in Toscana. Io facevo 800 chilometri al giorno per andare a incontrarlo un’ora al giorno, con un incontro videoregistrato e in presenza di un educatore”.

    Dopo la sentenza del 2019 che ha affidato il bambino al padre, Giada ha presentato una serie di istanze urgenti. “In Corte d’appello ho presentato 8 istanze urgenti in 8 mesi, tutte rigettate”, racconta. “Adesso abbiamo chiesto la ricusazione dei giudici e il ritorno al primo giudice, quello del divorzio. Il problema è che io non ho più tempo, perché mio figlio non ce la fa più. È terrorizzato, ha paura, gli viene dato il glutine e sta male”.

    “Non faccio distinzione tra padre e madre, dico solo che i figli non vanno tolti dai genitori che li amano senza un motivo provato e previsto dalla legge”, aggiunge Giada. “Sono 10 anni che questo bambino è torturato, facciamolo tornare nella sua casa, nella sua stanza. Che vedesse il padre pure tutti i giorni, ma fatelo tornare da sua madre”.

    Negli ultimi mesi, Giada ha dovuto resistere a un nuovo colpo. È stata infatti rinviata a giudizio con l’accusa di calunnia, per via della denuncia presentata nel 2013 contro il suo ex marito. Giada lo accusa di averla aggredita violentemente all’esterno della scuola del figlio, di averle sputato addosso e aver tentato di soffocarla. Ma per quella denuncia è stata chiesta l’archiviazione, sulla base di due dichiarazioni testimoniali. “Quelle dichiarazioni scritte sono false”, dice Giada. “Le due donne che avrebbero firmato quel foglio infatti al processo hanno detto di non conoscere il nome del mio ex marito”.

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