“Lui ha pagato, io ho le ricevute, il messaggio audio che ha mandato a mio padre perché versasse la seconda rata”: il fratello di uno dei presunti scafisti fermati dopo il naufragio di Cutro difende il suo familiare dalle accuse della Procura, che lo ritiene responsabile dell’aver organizzato il viaggio dalla Turchia all’Italia al termine del quale almeno 60 persone hanno perso la vita in seguito alla distruzione dell’imbarcazione al largo delle coste della Calabria.
Arslan è il nome dell’indagato, Antisham è suo fratello, lavapiatti e rider di Schio, richiedente asilo, che aspettava di ricongiungersi con il suo familiare. Mostra il versamento della prima tranche per il viaggio che lo avrebbe condotto via mare nel nostro Paese, afferma che in Turchia, dove Arslan lavora da anni, la vita per gli stranieri è diventata impossibile per colpa del regime di Erdogan. La prima rata ammonta a 4.500 dollari, altrettanti sarebbero stati corrisposti dopo l’attracco: una sorta di assicurazione, nel caso in cui i migranti vengano respinti.
Dopo aver visto la costa italiana ha inviato al padre un messaggio audio affinché completasse la transazione: “Papà sto arrivando, puoi versare il resto dei soldi, è tutto a posto”, si sente nell’audio ascoltato da Repubblica. I sopravvissuti lo hanno indicato come uno dei mozzi che dava indicazioni.
“Mio fratello parla un po’ di turco, probabilmente è per questo che parlava per conto degli skipper”, spiega Antisham. “Ma lui no, non è un trafficante. Nessun mercante di uomini rischia la sua vita su una barca, stanno a godersi la vita e a dare ordini dalle loro belle ville a Istanbul”.