Si tratta del terzo caso di fecondazione post mortem in Italia. A riportarlo è Nuovo Quotidiano di Puglia e ne è protagonista una donna originaria della provincia di Lecce, che ha intrapreso una battaglia giudiziaria per restare incinta del marito deceduto quest’anno a causa di un tumore.
Nel 2015, la coppia aveva avviato la procedura di procreazione medicalmente assistita in seguito ai ripetuti fallimenti di avere un secondo figlio. Il ciclo di cure ha portato alla fecondazione di due embrioni della madre da parte del liquido seminale del padre, a cui è stato diagnosticato il cancro poco dopo.
Ormai, però, gli embrioni erano fecondati e sono stati “crioconservati” in attesa dell’impianto per il quale, però, era necessario il nulla osta del giudice.
Dopo la morte del marito, la battaglia legale della madre è iniziata. Forte di una decisione presa con il consorte prima che lui morisse, lei non si è arresa, malgrado l’articolo 5 della legge sulla procreazione assistita stabilisca che “possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.
Tania Rizzo, l’avvocato della donna, ha presentato ricorso al tribunale di Lecce aggrappandosi al principio di diritto alla maternità e al fatto che il processo di fecondazione era iniziato prima della diagnosi di tumore fatta al marito.
Dopo due mesi di udienze, il responso del giudice è arrivato: positivo. A firmare la sentenza è stata la giudice Maria Gabriella Perrone.
Tre sono i punti che hanno portato al buon esito del ricorso: “il diritto dell’embrione alla vita”, “l’impossibilità del partner di revocare il proprio consenso” e, infine “il diritto della donna a ottenere, sempre, il trasferimento degli embrioni crioconservati”.
Il bambino nascerà nel 2020 e sarà a tutti gli effetti figlio legittimo degli ex coniugi.