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    ESCLUSIVO TPI: Falcone spiato da apparati dello Stato durante l’interrogatorio (finora ignoto) a Licio Gelli

    A 30 anni dalla Strage di Capaci un documento inedito rivela che apparati dello Stato sorvegliavano il magistrato. Come prova questo appunto riservato del 1990 con cui il capo della Criminalpol informava il ministro dell’Interno dei contenuti riguardanti un interrogatorio del giudice al Venerabile della P2 Licio Gelli. Violando il segreto istruttorio. L'inchiesta sul nuovo numero del settimanale The Post Internazionale - TPI, in edicola da venerdì 20 maggio

    Di Simona Zecchi
    Pubblicato il 19 Mag. 2022 alle 11:18 Aggiornato il 2 Giu. 2022 alle 12:29

    È il 7 aprile del 1990, sono le ore 16, e Giovanni Falcone, procuratore aggiunto di Palermo, si trova negli uffici romani della Criminalpol. Davanti a lui, a guardarlo dritto negli occhi, c’è Licio Gelli: l’ex venerabile maestro della P2.

    Qualche ora più tardi, terminato l’interrogatorio di Falcone a Gelli, dagli uffici di quel dipartimento della pubblica sicurezza parte un “appunto riservato” destinato all’Onorevole Sig. Ministro, che all’epoca dei fatti è il democristiano Antonio Gava. Notizie delicate. Ma soprattutto coperte da segreto istruttorio. L’intento? Uno solo: rivelare, immediatamente, cosa avesse appena riferito Gelli a Falcone. Il mittente di quell’appunto, che firma con nome e cognome, è Luigi Rossi, prefetto ed ex capo della Criminalpol. Che dipendeva direttamente dall’allora capo della Polizia, Vincenzo Parisi.

    A 30 anni dalla Strage di Capaci, “The Post Internazionale” pubblica un documento inedito che rivela come apparati dello Stato abbiano sorvegliato, almeno in un’occasione, il magistrato. L’appunto del 1990 inviato dal capo della Criminalpol al ministro Gava per informarlo dei contenuti secretati di quell’interrogatorio di Falcone a Gelli è l’ultimo tassello di una serie di evidenze e supposizioni che si sono ricorse negli anni sulla possibilità che Falcone fosse spiato.

    «Confermo», risponde a TPI l’ex ministro dell’Interno Vincenzo Scotti, che succederà a Gava nell’ottobre del 1990. «Non era e non è normale informare il ministro di un’attività coperta da segreto istruttorio». Scotti, con Falcone e Martelli, getterà le basi per la Direzione Nazionale Antimafia e per la Direzione investigativa antimafia.

    Il documento

    L’appunto, conservato presso l’Archivio centrale di Stato di Roma e oggi pubblicato in esclusiva da TPI, proviene dalle carte del Ministero dell’Interno, declassificate dalla Direttiva Renzi del 2014. Si tratta di un solo foglio appartenente a una serie di “corrispondenze con le questure”. In alto, allegato all’appunto, appare una nota di saluti. Oltre al già citato capo della Criminalpol Luigi Rossi, che indirizza l’appunto direttamente al ministro Gava, nel documento figura un’altra persona la cui firma è illeggibile. Un appunto che, per la gravità che lo caratterizza – la rivelazione del segreto istruttorio e la questione di sicurezza in sé (Falcone aveva subìto un attentato, poi fallito, all’Addaura il 21 giugno del 1989) – non sarebbe nemmeno dovuto esistere. A chiudere la nota compare anche una raccomandazione che avvisa il ministro del carattere di segretezza delle informazioni. «Non ricordavo di un interrogatorio di Falcone a Gelli. Certamente la comunicazione del contenuto dell’interrogatorio coperto da segreto al ministro non è attività consentita a norma di legge. È lecito supporre che Falcone fosse “tallonato” in questo filone di indagini e che si temesse che potesse scoprire qualcosa che doveva restare segreto». A essere così esplicito è l’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato che – da poco smessa la toga – commenta con TPI le finalità del documento che non conosceva.

    Falcone dunque spiato nel momento più delicato delle sue indagini, quelle sugli omicidi politici siciliani di Michele Reina, Pio La Torre e Piersanti Mattarella, un tempo riuniti in un’unica inchiesta, e quelle su Gladio (vedi l’articolo a pag. 14). Scarpinato, già nel pool antimafia con Falcone e Borsellino, ha dedicato gli ultimi anni a scavare sulle reali ragioni che hanno portato i due giudici alla morte, occupandosi in varie forme delle stragi del 23 maggio e del 19 luglio 1992.

    I “non ricordo” di Luigi Rossi

    L’ex prefetto Luigi Rossi, da noi interpellato sulla vicenda, non ricorda nulla di quell’interrogatorio, né ricorda – come è indicato sullo stesso appunto – di aver fatto consegnare lui stesso la nota con le notizie riservate al ministro Gava. «È passato troppo tempo e io sono ormai vecchio, non posso esserle utile, chieda a De Gennaro», risponde. Ex capo della polizia, Gianni De Gennaro è stato al fianco di Falcone negli anni più caldi, quelli di Contorno Buscetta e dell’estate delle missive accusatorie. Non è stato possibile raggiungerlo in alcuna maniera.

    Di fronte alla nostra disponibilità a mostrargli di persona il documento, l’ex prefetto Rossi ha poi declinato e non ha risposto alla domanda sul perché fosse stato necessario rivelare notizie segrete. Perché insomma si arriva ad esporre Falcone quando incontra da solo (lo si evince dall’appunto) Licio Gelli? «È passato troppo tempo», ha concluso di nuovo Rossi.

    Il contenuto dell’interrogatorio

    La durata dell’interrogatorio che Giovanni Falcone conduce quel pomeriggio del 7 aprile del 1990, viene riportata nel dettaglio: tra le “16.00-17.30”. Il magistrato, che segue le vicende di Gelli sin da quando nel 1981 scoppia il caso P2, decide di sentirlo in merito a delle accuse che Alberto Volo, un ex militante di Terza Posizione e pentito dal ruolo molto controverso, aveva lanciato contro Licio Gelli in alcune dichiarazioni.

    Non solo, Falcone incontra Gelli anche il giorno prima, il 6 aprile, insieme ai colleghi Lo Forte e Pignatone. Questo verbale viene ufficialmente acquisito, con la veste di sommarie informazioni, nella sentenza del giugno 1991 sugli omicidi politici eccellenti Mattarella, Reina e La Torre. Ne scrive per la prima volta il giornalista Paolo Mondani nel libro Chi ha ucciso Pio La Torre scritto con Armando Sorrentino. E anche in quella circostanza, oltre ad altri argomenti, vengono affrontate le accuse di Volo. Il verbale specifico del 7 aprile, invece, non si trova, e l’appunto che lo sintetizza registra che stavolta è solo Falcone a interrogare Gelli, altrimenti chiunque stesse verbalizzando l’incontro avrebbe inserito anche gli altri nomi. Insieme ai saluti del dottor Luigi Rossi, poi, è appuntata anche la data dell’8 aprile del 1990, il giorno successivo all’interrogatorio.

    Neppure chi era presente all’incontro del 6 aprile, come l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, che abbiamo sentito, ricorda quell’episodio insieme a Falcone. Allo stesso modo afferma di non essere a conoscenza dell’altro interrogatorio fissato in quell’appunto. Le date sono vicine, 6 e 7 aprile, è dunque logico pensare che in quella due-giorni di Falcone a Roma l’interesse per le dichiarazioni di Volo non fosse blando.

    Durante un’ora e mezza di colloquio, Gelli viene sentito da Falcone per chiedergli conto delle accuse di Volo nei confronti dell’ex Maestro Venerabile. Nello specifico gli domanda – come emerge dalla sintesi dell’appunto- se corrisponde al vero che abbia ricevuto presso la sua abitazione lo stesso Volo e altri due estremisti di destra, tra cui il noto Angelo Izzo, «per organizzare gli omicidi Mattarella e Reina, nonché la strage del Rapido 904». Tutti eventi che si snodano tra il 1979 e il 1984 e che sono accomunati dalla presenza anche dell’eversione nera. Nella sintesi dell’interrogatorio, messa nera su bianco nell’Appunto, è riportata anche la risposta di Gelli, che nega tutte le accuse e preannuncia una querela contro Volo, che poi formalizzerà. Nella nota è citata anche Nara Lazzerini, molto vicina a Gelli, sentita dallo stesso Falcone sui rapporti avuti dall’ex Venerabile con esponenti mafiosi: rapporti da lei confermati.

    “Informazione anomala”

    L’ex ministro Vincenzo Scotti ha testimoniato più volte di aver cercato di allertare il Parlamento in merito ai segnali forti ricevuti dai servizi segreti che annunciavano una reazione violenta della mafia nei primissimi anni Novanta. Allarme rimasto inascoltato: dopo arrivarono le bombe. Scotti dice a TPI: «Io succedetti a Gava, e né Falcone (come è giusto) né Parisi me ne parlarono. Nessun documento mi fu mostrato al riguardo, né tanto meno questo che state pubblicando. È un tipo di informazione anomala. Non fui mai interrogato su questa vicenda durante il processo trattativa Stato-mafia dove testimoniai. Ribadisco che non era e non è normale informare il ministro di un’attività coperta da segreto istruttorio». L’ex ministro ha sempre affermato che a organizzare le stragi di Falcone e Borsellino, insieme alla mafia, furono anche altre entità, con finalità terroristiche ed eversive.

    La testimonianza di Bolzoni

    Di Falcone spiato, ma sotto altra forma, scrisse Attilio Bolzoni nel 1989, e riportare la sua testimonianza al riguardo per intero è importante: «Il 4 agosto 1989 mi venne fornito da persone di alto rango istituzionale un rapporto di polizia dal quale emergeva che i telefoni del dottor Falcone erano sotto controllo, erano spiati. Il rapporto era stato consegnato all’autorità giudiziaria solo qualche ora prima. Mi accompagnarono anche nel bunker di Falcone e vidi all’opera dei signori con delle tute bianche che lavoravano e controllavano l’ufficio. Capii di avere una bomba in mano e quindi raccontai la vicenda. Il giorno dopo l’articolo uscì su Repubblica con il titolo “Falcone spiato” ed il giorno dopo ancora smentirono tutti la circostanza: quando una notizia è riservata, tutti smentiscono. Io ero tranquillo professionalmente perché il rapporto esisteva. E l’allora capo della Polizia (Parisi nda) confermò pubblicamente al mio collega Giuseppe D’Avanzo che Falcone non era spiato, ma spiatissimo, e che c’era molto di più. Molti anni dopo, parlandone con lui, riflettemmo sul fatto che forse quelle notizie o erano state diffuse da ambienti istituzionali con intenzione malevola, e quindi per creare pressioni su Falcone, o da qualcuno con un intento positivo e quindi per attirare l’attenzione su di lui, che era al centro di un intrico complicato».

    Bolzoni, ora firma del quotidiano Domani, ha ribadito queste dichiarazioni sia nel processo Capaci Bis sia durante il processo sull’omicidio del poliziotto Nino Agostino, assassinato con la moglie il 5 agosto 1989, e che fungeva da scorta ad Alberto Volo durante il periodo degli incontri con Falcone.

    Due i punti fermi sin qui emersi: la conferma di Parisi che Falcone fosse spiato telefonicamente (a prescindere dalla interpretazione sul rapporto) e la provenienza del documento che pubblichiamo, quella del Dipartimento della pubblica sicurezza da lui guidato come capo della Polizia, che registra un’attività di monitoraggio sul giudice. Il tutto a pochi mesi di distanza tra i due episodi (agosto ’89-aprile ’90). Ma c’è dell’altro.

    I favori all’ex Venerabile

    Quando Falcone si trasferisce a Roma come direttore degli Affari penali, a seguirlo è un dossier su Gelli, e l’importanza che i due segmenti Gladio e P2 rivestivano per Falcone è stata tracciata pubblicamente negli anni (vedi l’articolo a pag. 14). Nel novembre del 1992, poi, l’ex magistrato Ferdinando Imposimato, allora componente della Commissione antimafia, già denunciò quello che secondo lui era il reale movente dietro l’uccisione del giudice, affermando che: «Falcone voleva occuparsi anche di Gladio». Gladio e P2 non sono state due realtà estranee l’una dall’altra come nelle più recenti inchieste viene sottolineato.

    Altri due episodi significativi rivelano la “mano morbida” con l’ex Venerabile. Nel 1984, secondo l’accusa documentata di un ex agente dei servizi, Stefano Scorza, Parisi – allora al vertice del Sisde – aveva fatto sì che non si procedesse alla cattura dell’allora latitante Gelli, nonostante tramite una fonte Scorza avesse individuato il luogo in cui si nascondeva. Il procedimento contro Parisi sul caso fu poi archiviato rapidamente, nel luglio del 1993. Scorza, contattato da TPI, ribadisce la sua versione e dice che sta ancora cercando giustizia da quando denunciò il suo superiore dieci anni dopo i fatti.

    Il secondo inquietante episodio risale al 1987. Il 15 ottobre di quell’anno un documento firmato dallo stesso Parisi, acquisito dalla Procura generale di Bologna nel 2018 e fino ad allora classificato come riservatissimo, riporta quanto accaduto il giorno precedente nell’ufficio del direttore centrale della polizia di prevenzione, che aveva ricevuto l’avvocato di Licio Gelli, Fabio Dean, nei giorni successivi al suo arresto. Secondo quanto riportò il funzionario a Parisi, Dean disse di Gelli: «Se la vicenda viene esasperata e lo costringono a tirare fuori gli artigli, allora quei pochi che ha, li tirerà fuori tutti». L’avvocato di Gelli chiese chiaramente che le sue considerazioni «fossero rappresentate nella giusta sede» aggiungendo poi che «tra i documenti sequestrati a Gelli nel 1982 vi sono degli appunti con notizie riservate, che spetterà, poi, a Gelli avallare o meno, sulla base di come gli verranno poste le domande stesse». Insomma un ricatto.  Il documento è ora noto come “documento-artigli”. Gelli era anche imputato per la strage di Bologna, per la quale verrà poi condannato per depistaggio.

    Al netto di tutto, ci pare giusto rilevare che un fatto è senz’altro certo: il documento che TPI ha pubblicato, finora ignoto e disseppellito a 30 anni dalla strage che ha eliminato il giudice antimafia, è di eccezionale gravità e mostra come monitorare Gelli e chi lo indagava fosse di estrema importanza. Ma sopra ogni altra cosa è il tassello mancante, una prova concreta su quanto Falcone fosse vicino alla verità.
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