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    Il futuro dell’ex Ilva appeso a un’altra sentenza: il Consiglio di Stato può fermare gli impianti

    Di Marta Vigneri
    Pubblicato il 1 Giu. 2021 alle 08:44 Aggiornato il 1 Giu. 2021 alle 08:50

    Dopo la sentenza della Corte d’Assise di Taranto che ha disposto la condanna di tutti e 47 gli imputati nel processo “Ambiente svenduto”, tra cui quella a 20 e 22 anni degli ex proprietari Nicola e Fabio Riva, il destino dell’ex Ilva (ora Acciaierie d’Italia) e dei suoi altiforni è nelle mani di un nuovo passaggio giudiziario. Già entro questa settimana potrebbe arrivare la sentenza con cui il Consiglio di Stato dovrà o meno confermare quella del Tar di Lecce del 13 febbraio scorso che, accogliendo un’ordinanza del sindaco di Taranto del 27 febbraio 2020, aveva disposto lo spegnimento degli impianti dell’area a caldo, ritenuti inquinanti, entro 60 giorni.

    Se il Consiglio di Stato confermerà la sentenza “il progetto di investimento nel siderurgico che vede partecipe lo Stato, rischia di saltare”, hanno prospettato nell’udienza gli avvocati di Invitalia, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo che fa capo al ministero dell’Economia ed è socia dell’azienda con una partecipazione del 38 per cento. Qualora arrivasse una conferma, infatti, lo Stato sarebbe costretto a tirarsi indietro dalla nuova compagine aziendale e dall’accordo con Arcelor Mittal, che prevede nel 2022 il passaggio del socio pubblico in maggioranza, 8 milioni di tonnellate annue di acciaio nel 2025 (oggi sono circa 3) e l’assorbimento dell’intera forza lavoro (10.700 operai diretti, 8.200 solo a Taranto). Con pesanti conseguenze per l’intero settore e per i dipendenti che all’ombra delle polveri sottili sono costretti da oltre 20 anni a scegliere tra un salario e la vita.

    Gestione congelata

    “Rispettiamo la sentenza, ma manca la pronuncia del Consiglio di Stato per avere il polso della situazione. A quel punto sarà possibile capire in che quadro giuridico lo Stato, in qualità di azionista, potrà operare. Servono certezze”, ha detto ieri il Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti commentando la decisione della Corte d’Assise di confiscare gli impianti dell’area a caldo, che però sarà esecutiva ed efficace solo a valle del giudizio definitivo della Corte di Cassazione.

    “Ci sono due strade – ha detto ieri al Fatto Quotidiano il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani – la prima è elettrificare il prima possibile. La direzione in tal senso nel Recovery l’ho già data. Questo se si va nella direzione di salvaguardare dei posti di lavoro. Se però ci fosse per esempio il ministero della Salute che bussa e mi dice ‘guarda che lì la situazione è insostenibile’ allora si chiude”, ha aggiunto.

    Nel frattempo, la gestione dell’impianto siderurgico più grande d’Italia è congelata: non si può approvare il bilancio dell’azienda, perché non si potrebbe garantire la continuità aziendale. Ma senza l’approvazione al bilancio da parte dell’attuale Cda, l’assemblea non può provvedere alla nomina del nuovo consiglio di amministrazione.

    Cosa potrebbe succedere dopo la sentenza del Consiglio di Stato

    Lo spegnimento dell’area a caldo e degli altiforni equivarrebbe alla chiusura dell’Ilva attuale. A quel punto si dovrebbe attuare una riconversione ecologica, quella che da anni auspicano gli attivisti e i comitati che si battono per la chiusura dell’impianto siderurgico e per la bonifica di un territorio in cui ogni anno migliaia di persone, compresi bambini, si ammalano di tumore o malattie cardiovascolari. Si parla di “decarbonizzazione”, ma già dopo la sentenza di ieri sono arrivati gli appelli dei sindacati preoccupati per il destino del settore metallurgico e della sua forza lavoro.

    “Sarebbe una beffa insopportabile se, dopo il danno, non diventasse possibile l’approdo ad una produzione ambientalmente sostenibile dell’acciaio nell’impianto di Taranto: condizione indispensabile per la sopravvivenza degli altri siti del gruppo e per le prospettive dell’intera industria manifatturiera italiana”, hanno dichiarato in una nota congiunta Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil e Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile siderurgia. “La sentenza condanna un modo sbagliato di fare impresa, ma siamo allarmati per la confisca degli impianti”, ha affermato il Segretario generale Fim Cisl Roberto Benagli.

     

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