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    Ex deputato: “Io, scampato al Covid grazie all’ossigeno tolto a un 84enne”

    Di Giulia Angeletti
    Pubblicato il 3 Giu. 2020 alle 12:12

    “Sono salvo grazie alla bombola d’ossigeno tolta a un 84enne mantovano. L’ 11 marzo eravamo in trenta nella lavanderia del Civile adibita a reparto Covid. C’erano solo tre bombole d’ossigeno. Un inferno senza cibo e coperte, con un solo wc. Peggio di certi ospedali del Burundi, che ben conosco”. Questa la scioccante denuncia di Mario Sberna, ex deputato eletto nel 2013 a Montecitorio nelle file di Scelta Civica e poi passato a Democrazia Solidale. Sberna, noto per essere stato un parlamentare “francescano”, visto che arrivava alla Camera dei Deputati in sandali e cravatta e donava ai poveri la maggior parte del suo stipendio, al Corriere ha raccontato la sua terribile esperienza dopo aver contratto il Coronavirus e nel corso del suo ricovero a Brescia, in Lombardia.

    Sberna racconta che è stato il suo medico a consigliargli di recarsi in ospedale dopo che l’uomo accusava da giorni tutti i sintomi tipici del Covid-19 e dopo che, nonostante gli antibiotici, le sue condizioni non subivano alcun miglioramento. “Mi sono presentato in ospedale l’11 marzo. Facevo fatica a reggermi in piedi. Lì ho vissuto quattro giorni d’inferno. Credevo di morire, di non rivedere più mia moglie e i miei cinque figli. Sono finito – spiega – nella lavanderia dell’ospedale, adibita a reparto Covid. Posso dirle che certi ospedali della diocesi realizzati in Burundi e in altri paesi del Sud del mondo, che conosco bene, sono organizzati meglio”. “Per trenta malati – continua – c’erano solo tre bombole d’ossigeno. Vicino a me c’era un’84enne di Mantova attaccato al respiratore. Mi diceva che non vedeva l’ora di tornare a casa per cucinare il risotto con la salamella ai suoi nipoti. Una notte è peggiorato, l’hanno caricato su un’ambulanza e hanno dato a me la sua bombola”.

    Sberna di quelle lunghe notti ricorda poi “il freddo cane”, dato che “le porte erano sempre spalancate per far circolare l’aria”, e la mancanza di cibo e coperte. “Passavano quei santi degli infermieri a darci un pacchetto di crackers, dei grissini o uno yogurt. C’era un solo bagno per tutti quei malati, molti dei quali avevano dissenteria e vomito, come me. Un bagno in condizioni vergognose anche in tempi di pace. Erano i giorni del caos peggiore, il Civile aveva più di 800 malati Covid, non sapeva dove metterli”, prosegue poi la testimonianza shock del bresciano. Sberna non addossa responsabilità agli infermieri, ma denuncia nel complesso la gestione della crisi sanitaria in Lombardia: “Io non me la prendo con gli infermieri. Hanno fatto il possibile. La mia rabbia è contro la dirigenza dell’ospedale (che non ho mai visto in reparto) e contro chi gestisce il sistema sanitario in Lombardia: servivano servizi aggiuntivi d’urgenza, che non sono stati garantiti. Io ho sempre vissuto nel mondo missionario e per la prima volta mi sono sentito povero. Nella mia Brescia, non in Africa”.

    Ma c’è dell’altro. L’ex deputato, infatti, racconta sempre al Corriere che nella sua cartella clinica sarebbero stati riportati dei dati diversi rispetto a quelli trascritti “quotidianamente nella tabella in fondo al letto, che io leggevo e fotografavo”. Sberna, però, non ha intenzione di sporgere denuncia: “È più importante rendere pubblica la mia storia. È inammissibile un trattamento simile nel 2020 in una delle regioni che si fregia d’avere una sanità tra le migliori d’Europa. Ha fatto bene – afferma in conclusione Mario Sberna – il parlamentare 5S Ricciardi a denunciare la pessima gestione dell’emergenza Covid in Lombardia”.

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