La Consulta: “L’ergastolo ostativo è incostituzionale”
La Consulta ha stabilito che la mancata collaborazione con la giustizia non impedisce i permessi premio fino a 15 giorni per chi fa il carcere duro, a patto che siano del tutto esclusi i collegamenti del detenuto con la criminalità organizzata. La Corte Costituzionale decreta l’incostituzionalità del carcere duro a due settimane dal pronunciamento della Corte dei diritti umani di Strasburgo (Cedu) dell’8 ottobre scorso che rifiutava il ricorso del governo italiano volto a mantenere l’ergastolo ostativo per i mafiosi.
Il ricorso del governo si opponeva ad un’altra sentenza della Corte del 13 giugno che decretava l’incompatibilità dell’ergastolo duro con la Convenzione europea dei diritti umani.
La decisione della Consulta riguarda il caso dei due ergastolani Sebastiano Cannizzaro e Pietro Pavone che con i ricorsi in Cassazione e al Tribunale di sorveglianza di Perugia hanno sollevato la possibilità di un illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis della legge 354/1975 che prevede il carcere duro senza sconti di pena per i mafiosi che si rifiutano di collaborare con la giustizia.
In virtù della pronuncia della Corte, la presunzione di “pericolosità sociale” del detenuto non collaborante non è più assoluta ma diventa relativa e quindi può essere superata dal magistrato di sorveglianza.
Ergastolo ostativo: la decisione della Consulta dopo la sentenza di Strasburgo
Il procedimento a Strasburgo era nato dal ricorso alla Corte del boss Marcello Viola, condannato a 4 ergastoli. La Corte aveva accolto il ricorso ritenendo che la pena non permettesse la possibilità per il detenuto di redimersi in alcun modo e aveva invitato l’Italia a modificare la legge. Con questo ricorso l’invito viene rinnovato ma la richiesta non è vincolante e può comunque essere ignorata dal governo.
L’ergastolo ostativo, “ostacola” ogni modificazione o abbreviazione della pena, salvo che il detenuto non decida di diventare un collaboratore di giustizia. È una pena regolata dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario e non prevede la possibilità di godere dei benefici e degli sconti di pena a cui normalmente possono accedere tutti i detenuti. L’articolo fu inserito negli anni ’90 a seguito dell’uccisione dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e rappresenta un ostacolo alla possibilità che il mafioso possa in qualche modo continuare anche dal carcere a controllare i suoi rapporti con le organizzazioni criminali.