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    Emanuele Russo a TPI: “Per cambiare il mondo bisogna formare gli attivisti”

    L’ex presidente di Amnesty International Italia, da 12 anni in forza a C.I.F.A. ETS come esperto di educazione, ha creato Hate Trackers Beyond Borders, un progetto volto a spingere i giovani a diventare attivisti contro odio, razzismo e discriminazioni

    Di Cecilia Capanna
    Pubblicato il 1 Dic. 2023 alle 12:44

    Fare attivismo sull’onda emotiva dell’indignazione non basta. L’attivismo va rivoluzionato e imparato sui banchi di scuola, sostiene Emanuele Russo, esperto di Educazione alla Cittadinanza Globale presso C.I.F.A. ETS ed ex Presidente di Amnesty International Italia. I tempi sono cambiati, il modello di volontariato e attivismo del XX secolo non funziona più, ci dobbiamo aggiornare.

    Divide et impera, dicevano i latini, e mai come in questo tempo in cui il mondo in teoria sarebbe globalizzato ci troviamo invece sempre più incastrati in divisioni, schemi binari e polarizzati, in assenza totale di pensiero critico e accompagnati da cieca intolleranza per chi la pensa diversamente o chi è ritenuto diverso tout court.

    In questa nuova era digitale regnano indiscussi l’Ego e l’algoritmo. A tutti è capitato almeno una volta di essere il bersaglio di leoni da tastiera, troll, keyboard worriors, haters o come li si voglia chiamare. Spiega Russo: “Il digitale è clusterizzato con logiche commerciali e politiche mentre ci illude di essere i protagonisti di un dibattito mondiale e indiscussi tesorieri di verità universali.  La conseguenza tragica è che siamo tutti in preda ad una deriva narcisistica per cui addirittura i parametri per definire il narcisismo come patologia vanno ritarati, dato che secondo i vecchi criteri siamo tutti, chi più chi meno, narcisisti patologici”.

    Chi accusa maggiormente i colpi bassi di questo sistema deformante e violento sono come sempre le fasce più fragili della società, primi tra tutti i giovani che purtroppo sempre più spesso cadono in patologie depressive fino all’autolesionismo e in casi estremi al suicidio. A tutto questo si sono sovrapposte l’Eco-ansia per la crisi climatica e la pandemia che con i lockdown ha sovraesposto tutti all’utilizzo dei social network e alla fuga nel mondo digitale.

    Se parlare di nuove generazioni vuol dire parlare di futuro del nostro paese, dell’umanità e del pianeta, curarle e investire su di loro significa cercare concretamente soluzioni alle storture del nostro tempo. E proprio qui si innesta l’azione dell’ex Presidente di Amnesty Italia.

    Attento ai giovani come Coordinatore della Global Campaign for Education (GCE) in Italia e da 20 anni attivo per il loro diritto a ricevere un’istruzione di qualità, Emanuele Russo segue da vicino le nuove generazioni, ne conosce il potenziale e le fragilità e soprattutto ha una visione chiarissima su come dovrebbe essere strutturata la formazione, in particolare quella di chi voglia prendere parte alle battaglie della società civile. 60 percorsi in 60 classi di diverse scuole nell’ultimo anno e mezzo gli hanno fatto maturare sempre più la convinzione che ci sia bisogno di una formazione strutturata per l’attivismo che non può nascere, crescere e morire sulle onde emotive dell’indignazione verso i singoli fatti di cronaca, ma deve essere insegnato come disciplina ben costruita che permetta di renderlo possibilmente una professione vera e propria.

    “I giovani di oggi rispetto alle generazioni precedenti sono molto più consapevoli e sensibili a temi come misoginia, razzismo, identità di genere, ambiente – dice Russo – mi ha colpito però il fatto che mentre si vedono diversi, non necessariamente si sentono meno immuni ai discorsi di odio. Allo stesso tempo mi è sembrato che ci sia una minore fiducia nei confronti della dimensione collettiva del cambiamento possibile, mentre il discorso d’odio rientra sempre nella sfera individuale contro le singole persone e mai contro gli attivisti che le sostengono. Cioè, c’è l’idea che al problema dei discorsi d’odio ci possano essere delle soluzioni individuali o di piccolo gruppo, in alcuni casi di branco, ma l’idea che esista una possibilità più ampia, costruita, di attivismo politico non viene considerata”.

    Ma esattamente cosa bisogna cambiare, cosa c’è che non va nel modo tradizionale di fare attivismo?

    Russo spiega: “La prima considerazione da fare è che le grandi organizzazioni di attivismo e di volontariato stanno avendo particolari difficoltà a mantenere viva la loro forza perché sono molto complesse e il nuovo attivista deve riuscire a capire molto bene le strutture prima di potersi efficacemente inserire nel loro contesto. Questo sembra più difficile da accettare da parte dei giovani rispetto al passato. Una delle ragioni è che siamo di fronte a una generazione che nutre sfiducia verso le istituzioni esistenti, a partire da quelle politiche con un riverbero in generale nei confronti di tutte le organizzazioni che in qualche modo siano strutturate”.

    “Durante la mia esperienza come attivista di Amnesty mi è capitato più spesso rispetto al passato di incontrare persone con una scarsa conoscenza del diritto delle organizzazioni. Da parte delle nuove generazioni c’è una forte volontà di proporre un cambiamento ma senza conoscere la struttura esistente, quindi senza una critica mirata di cosa ci sia da cambiare. Questo succede perché le organizzazioni investono in generale sempre troppo poco in formazione interna e dovrebbero essere creati percorsi chiari, duraturi e trasparenti che permettano alle persone di formarsi. Nella mia esperienza sono poche le organizzazioni che dispongono di una scuola interna. Se si vuole creare una fidelizzazione forte e duratura, si dovrebbe prendere esempio dalla Croce Rossa, che prevede passaggi obbligatori di formazione e addestramento. Tante organizzazioni di tipo laico che si richiamano all’attivismo politico sono ancora intrise di mitizzazione della volontarierà dell’impegno. È chiaro che non basta avere buona volontà per cambiare le cose, ci vuole una formazione chiara e strutturata”.

    Continua Russo: “Un’altra considerazione da fare riguarda la sostenibilità economica. È necessario pensare di poter camminare con le proprie gambe e dopo tanti anni all’interno del terzo settore si è capito che i soldi si fanno investendo soldi. È impossibile pensare di fare raccolta fondi senza avere un budget. C’è la fase di avviamento, si investe e poi si comincia a raccogliere per autofinanziarsi. Il rapporto è di uno a tre. Per ogni euro investito ce ne sono tre guadagnati”.

    Così è nato il progetto Hate Trackers Beyond Borders (HTBB), in collaborazione con Erasmus+ e con una sponsorizzazione europea dall’Agenzia Nazionale Giovani ma con l’obiettivo dell’autofinanziamento. È partito in aprile 2023 e la conclusione è provvisoriamente fissata per marzo 2025. In questo momento è portato avanti in diverse città con collaborazioni incrociate: Torino, Atene, Madrid e Nicosia (Cipro).

    Ora, partendo dai suddetti assunti di base per cui si rende necessario il cambiamento, come si diventa attivisti del futuro?

    “L’idea su cui stiamo cercando di lavorare – dice Russo – è innanzitutto garantire dei percorsi di formazione chiari, che diano un kit di informazioni e di competenze di facile accesso.

    Contemporaneamente, va assolutamente considerata la precarietà sistemica all’interno della quale vivono le nuove generazioni, che è molto peggio di quella sistematica in cui ci potevamo trovare noi che sapevamo di dover fare una grossa gavetta, ma che bene o male alla fine avremmo lavorato. Oggi è sistemica nel senso che tu hai la certezza che probabilmente la tua intera esistenza sarà di questo genere. E allora è ovvio che la propensione a legarsi in modo sempiterno o durevole a una qualsivoglia realtà anche di tipo volontario diventa più debole. Nel momento in cui una persona si sente precaria nella propria identità e esistenza, per quale motivo dovrebbe diventare vestale di una qualsivoglia struttura, oltretutto mutevole? Per questo le politiche di affiliazione diventano molto difficili. Allora probabilmente l’attivismo del futuro deve concentrarsi maggiormente sulla promozione di un metodo di attivismo più che di una affiliazione ad una realtà costituita. Promuovendo un metodo avremo delle persone che all’interno di una qualsivoglia organizzazione, o anche da sole, avranno una struttura che le aiuterà e le supporterà nel fare una propria azione di promozione civica o politica. Si può fare attivismo come singoli o anche in piccoli gruppi. Anche perché i modelli che adesso vanno per la maggiore sono sempre di più individuali, come gli influencer e content creators sui social network”.

    “Altro ingrediente fondamentale – aggiunge Russo –  è fare attivismo facendo ciò che ci piace fare, sfruttando le passioni e le attitudini individuali e trasformare il tutto possibilmente in una professione. Di base dobbiamo ispirare i giovani secondo le loro esigenze e necessità particolari decolonizzando l’istruzione, una cosa di cui ancora in pochi conoscono il significato”.

    Fare attivismo in gruppo resta comunque un momento fondamentale, per questo le vere protagoniste del progetto HTBB sono le “Unità di Guerrilla Semiologica Giovanili”, gruppi di giovani attivisti che hanno il ruolo di promuovere i Diritti Umani e di trasmetterne i valori. Si tratta di squadre di ragazze e ragazzi che affrontano con pensiero critico le situazioni problematiche a livello locale, dopo aver svolto un’attenta attività di osservazione.  Russo spiega il richiamo a Umberto Eco e alla pubblicazione della sua lecture del ‘67 intitolata ‘Towards Semiological Guerrilla Warfare’, un punto di riferimento nella teorizzazione delle tattiche di contrasto alla cultura di massa mainstream. Anche se il termine “guerrilla” può suonare estremo e fuorviante, l’ex presidente di Amnesty Italia ci tiene a spiegare che viene usato nell’arte, nella musica e in molti altri campi in maniera assolutamente pacifica e con il preciso obiettivo di educare.

    Educazione, in definitiva, è la parola chiave. E formare per educare è la chiave per contrastare odio e violenza e salvaguardare i Diritti Umani, una missione che Emanuele Russo continua a portare avanti non solo con il progetto Hate Trackers Beyond Borders, ma anche con una serie di appuntamenti radiofonici su Radio Elettrica.

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