Meglio la teoria della pratica. Tra i giovani adolescenti cominciano a fare effetto le campagne sull’uso consapevole della Rete. La percezione dei rischi sale: ad esempio, 9 su 10 si dicono infastiditi quando, navigando, s’imbattono in episodi di cyberbullismo. Ovviamente non bisogna abbassare la guardia: infatti sebbene possa confortare che quasi 4 su 5 li segnalino o ne parlino con gli adulti, non possiamo trascurare che circa 1 su 5 non intervenga o, in casi peggiori, aiuti il contenuto ad essere più virale tramite like o condivisioni.
A dircelo sono i dati di una ricerca condotta da Generazioni Connesse – il Safer Internet Center Italiano, coordinato dal MI – e curata da Skuola.net, Università ‘Sapienza’ di Roma e Università di Firenze, in occasione del Safer Internet Day 2020, la giornata per la sicurezza online. A rispondere 5185 studenti di scuole medie e superiori, i soggetti potenzialmente più esposti.
Tuttavia i ragazzi hanno una fortuna, a differenza degli adulti. Vanno a scuola, dove è sempre più tangibile che i docenti si stiano attrezzando per trattare il tema dell’educazione digitale. Quasi la totalità dei partecipanti alla ricerca (91%) discute o ha discusso con i propri professori di nuove tecnologie: il 34% “spesso”, il 38% “qualche volta”, il 19% “raramente”.
Ma, dovendo selezionare gli argomenti da trattare, cosa vorrebbero approfondire ulteriormente i più giovani? Più del 40% si concentrerebbe su un tris quantomai attuale: cyberbullismo, dipendenza da Internet, uso delle tecnologie digitali nella didattica (tra l’altro, solo il 58% dichiara di utilizzare quotidianamente in classe gli strumenti tecnologici – LIM, tablet, pc – per approfondire lezioni).
Dall’indagine emerge che gli studenti dimostrano di aver imparato abbastanza bene la lezione. Provando a mettere un freno alla propria dipendenza da tecnologia. Se, infatti, il 7% si dichiara “sempre connesso”, quindi non riesce più a distinguere tra quanto tempo passa on e off line, il trend rispetto alle precedenti rilevazioni di Generazioni Connesse è di una netta riduzione del fenomeno: nel 2018 il dato si attestava al 21%, quasi tre volte di più.
La maggioranza (46%) si ‘limita’ invece a 3-4 ore di presenza digitale, un ulteriore 20% a 1-2 ore. Appena il 4% dichiara di non connettersi mai o raramente: due anni fa erano esattamente il doppio. Ma è comprensibile: in fondo sono pur sempre ‘nativi digitali’. Certo, se non esistessero gli smartphone tutto sarebbe più facile, visto che il 20% racconta di controllare lo schermo del telefono più di dieci volte in un’ora, il 15% indicativamente dieci, il 29% attorno alle cinque volte. Ma 1 su 5 – il 19% – dice che gli può capitare di non controllarlo affatto nell’arco dei 60 minuti.
Di fatto Internet e, in particolar modo, i social media incidono profondamente sui rapporti personali e sulle emozioni. Nel bene e nel male. La maggioranza dei ragazzi raggiunti dall’indagine, grazie a queste piattaforme, si sente più connessa alle vite di amici e conoscenti (76%). Non solo, 2 su 3 ritengono che i social media abbiano un effetto positivo sulla sintonia empatica con i propri amici e sulla propria creatività. Ma, come spesso accade, c’è il rovescio della medaglia: meno della metà (43%) afferma di sentirsi sostenuto dalla sua community di riferimento nei momenti di difficoltà, il 55% dice di sentirsi sopraffatto dalle notizie negative a cui viene esposto sui social.
Purtroppo, poi, è sempre più palpabile una crescente pressione sociale: 2 su 5 sentono il peso di dover postare solo contenuti che abbiano tanti like o che li facciano sembrare interessanti. Mentre il continuo confronto con le vite degli altri, sempre per 2 su 5, spinge ad essere insoddisfatti della propria. Insomma, l’uso positivo della Rete non si gioca più solo sui rischi manifesti ma anche sul supporto concreto dei giovani nel dare il giusto valore al digitale.
Come ha dichiarato la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, bullismo e cyberbullismo “sono vere e proprie piaghe che vanno contrastate mettendo in campo ogni possibile alleanza con le scuole, le famiglie, le associazioni, le istituzioni che si occupano di questi temi”. Spesso, infatti, insiste la Ministra, “sono gli adulti che devono dare il buon esempio: perché, spesso, sono proprio gli adulti i primi utilizzatori del linguaggio dell’odio”.
Ovviamente ciò non significa che si debba abbassare la guardia sui pericoli già noti. Un terzo del campione (34%) è stato testimone almeno una volta di episodi di cyberbullismo con vittima un coetaneo. E per fortuna, come anticipato, quasi tutti (87%) non hanno gradito; solo il 4% afferma di non aver avuto alcun sussulto e il 3% di essersi addirittura divertito.
Inoltre, ben il 77% non ha sottovalutato la cosa (il 40% ha segnalato il contenuto, il 34% ha chiesto aiuto ad amici o adulti sul da farsi, il 3% si è rivolto ad una Helpline), anche se rimane chi si dimostra meno consapevole: il 18% ha ignorato l’episodio; il 5%, purtroppo, trovandolo divertente ha messo like o commentato.
Discorso simile per quanto riguarda uno dei ‘mali’ più diffusi attraverso web e social network: le fake news. Praticamente a tutti (91%) ne è passata una tra le mani. Ma la maggior parte (60%) non l’ha presa bene. Addirittura il 39%, di fronte a una bufala, è propenso a segnalare la notizia al gestore del sito o a cancellarla dal proprio profilo.
C’è ancora un po’ di strada da fare se, però, più della metà (57%) non ha fatto nulla per debellare la minaccia. Ma l’indagine è anche stata l’occasione per capire quante e quali speranze gli adolescenti ripongano nelle potenzialità del web in ottica futura. Il 31% del campione prende infatti in considerazione l’idea di diventare youtuber e influencer di professione, mentre il 4% già di si dichiara tale.
Ma le opportunità di lavoro del digitale non sono solo legate all’influencer marketing: 1 su 5 ha impiegato i social media per promuovere la vendita di prodotti o servizi. Gli eredi dei Ferragnez e di Bezos sono già sui nostri banchi di scuola?