Deportazioni Ucraina, bimbo italiano portato dalla madre in Donbass: “Temiamo che ora sia finito in Russia”
“Non sappiamo che futuro avrà”. Da mesi la famiglia di Roman Bonato chiede di avere notizie del bambino nato dal matrimonio di un uomo del veronese con una cittadina ucraina, poi trasferitasi nel Donbass. Dopo le accuse lanciate a Vladimir Putin, i suoi nonni hanno lanciato un nuovo appello.
Il timore dei parenti è che possa essere uno dei bambini costretti a trasferirsi in Russia, lo stesso reato contestato a Vladimir Putin dalla Corte penale internazionale, che venerdì ha emesso un mandato di cattura internazionale contro il presidente russo. Il bimbo di sei anni si è trasferito quando aveva un anno e mezzo nella regione di Donetsk, annessa alla Federazione Russa lo scorso settembre.
“La nostra paura è che questo bambino italiano sia diventato come le migliaia di bambini ucraini di cui si parla in questi giorni. Vale a dire che sia stato portato in Russia”, hanno detto al Corriere della Sera i nonni Angela e Marcello. “Per certi versi ce lo auguriamo, perché almeno non è sotto le bombe in Donbass”, hanno aggiunto.
I nonni, che si appellano alla convenzione sui diritti dell’infanzia approvata dall’Onu nel 1989, hanno già scritto una lettera a Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica aveva coinvolto il ministero degli Esteri, con l’intervento del console italiano in Ucraina Federico Nicolaci. “Lui aveva contattato la madre, sembrava che ci fosse la possibilità di fare almeno una videochiamata, ma poi lei ha chiuso tutti i contatti anche con lui”, hanno detto i nonni.
Nella loro ultima chiamata WhatsApp il bambino, che parla solo russo, avrebbe fatto vedere ai nonni una pistola giocattolo e al padre Simone il modellino di un aereo dicendo che era stato “abbattuto dai fascisti”. All’epoca si trovava a Donetsk, ma il bimbo si sarebbe poi spostato. Fino a qualche tempo fa erano riusciti ad avere qualche notizia da alcuni amici del padre a Donetsk, poi anche loro non erano più in grado di dare informazioni. A causa delle sanzioni, la famiglia dice di non poter neanche inviare più denaro.
“L’unica cosa di cui siamo a conoscenza è che il bambino è costretto a continui spostamenti, la carenza di acqua e luce è cronica. Purtroppo Roman continua a vivere una guerra condivisa dalla madre, ma che non è la sua”, sostengono i nonni, che dicono di rivolgersi a “chiunque voglia prendersi cura del piccolo Roman”: “Ci piacerebbe che imparasse l’italiano, che potesse conoscere i luoghi, la cultura e il paese in cui è nato”.