“Qui a Perugia ho cercato di soccorrere una ragazza che poi è morta”. Sono le parole di Rudy Guede che, per la prima volta dopo 16 anni, è tornato nei pressi della casa in via della Pergola, dove fu uccisa la studentessa inglese Meredith Kercher. Dopo la scelta del rito abbreviato, l’ivoriano è stato condannato a 16 anni per violenza sessuale e concorso in omicidio. Dopo 13 anni in carcere, ora è un uomo libero, vive a Viterbo e continua a professarsi innocente: “La pena che dovevo scontare in nome della legge si è conclusa, ora mi resta quella segnata dal giudizio degli sconosciuti, dalle occhiate sghembe al mio passaggio”.
Ripercorrendo gli anni in prigione, Guede dice a Il Corriere della Sera: “Nei primi giorni di galera in Germania mi hanno tenuto isolato per tre giorni in una cella da solo, quando mi hanno fatto uscire ho chiesto una lametta da barba e mi sono tagliato, caddi per terra, venni soccorso”. Dalla Germania è stato poi trasferito in Italia. “Il momento più brutto – ricorda – è stato quando il mio compagno Roberto si è tolto la vita. Stavo rientrando in cella, ho aperto lo spioncino e ho visto che i suoi piedi penzolavano, si era impiccato con il mio scaldacollo, ho rivisto di nuovo la morte da vicino”.
“Se le mie mani sono macchiate di sangue è perché ho tentato di salvare Meredith. La paura ha preso il sopravvento e sono scappato come un vigliacco lasciando Mez forse ancora viva. Di questo non finirò mai di pentirmi”, dice. “Non passa giorno che non le dedichi un pensiero. È un macigno nell’anima, sarà così finché vivrò. Ho scritto ai suoi familiari ma non mi hanno risposto. Vorrei dirgli di perdonarmi se non sono riuscito a fare tutto il possibile per salvarla. Farle visita al cimitero in Inghilterra? Meglio di no”.