La didattica a distanza è un male necessario? E’ quello che pare emergere da storie come quella di Anita, la studentessa di Torino che ogni giorno si presenta davanti alla sua scuola media e segue da lì le lezioni mediante un tablet, per manifestare il suo desiderio di tornare alla normalità. La ministra Lucia Azzolina ha voluto contattarla personalmente, per garantirle che farà “tutto il possibile per tenere le scuole aperte e permettere anche ai più grandi di rientrare, tenendo conto della situazione epidemiologica”. Una situazione, tuttavia, sempre più complessa, così come dimostrano vari segnali convergenti.
Prima di lei c’era stata la bambina campana che piangeva per l’impossibilità di tornare in classe e che aveva suscitato in Vincenzo De Luca una reazione decisamente meno empatica.
Non solo loro due, ma l’ampia maggioranza delle studentesse e degli studenti italiani sta soffrendo in maniera evidente il ritorno alla “DAD”nella seconda ondata del Covid-19. Lo conferma anche la ricerca condotta da Studenti.it su un campione di oltre 3.000 studenti, dei quali l’84% ha dichiarato di provare disagio e malessere per la situazione. Il 20% di loro la sta patendo al punto di lambire la depressione.
Eppure, di fronte a una curva dei contagi che si mantiene preoccupante, il mondo della medicina invita non solo a proseguire con la didattica a distanza, ma anche ad incentivarla.
In una nota firmata congiuntamente dal presidente di SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale) Alessandro Miani e da quello di OMCeOMI (Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Milano) Roberto Carlo Rossi, si afferma: “In considerazione dell’attuale e ineluttabile stato di emergenza sanitaria, nonché della pressione esponenziale che grava su ogni forma di servizio pubblico e privato di area sanitaria, riteniamo che il rischio derivante dai contagi interscolastici finirà – in un tempo relativamente imminente – per produrre gravi effetti sulla disponibilità di risorse umane sia nell’ambito della sanità territoriale che ospedaliera. Con questo spirito di responsabilità e abnegazione chiediamo che ai figli in età scolare del personale sanitario, a vario titolo impegnato in questa lotta contro il tempo e le difficoltà della pandemia (medici, scienziati, farmacisti, biologi, infermieri, OSS, forze dell’ordine ecc.), possa essere garantita la ‘DAD’ come opzione didattica e, laddove necessario, fornire il supporto economico e gestionale per assicurarne la fruizione”.
I due presidenti aggiungono che “lo stesso tipo di supporto va garantito a tutte le famiglie che intendono avvalersi della ‘DAD’ esercitando un diritto pre-esistente e costituzionalmente garantito di non mandare i propri figli a scuola per proteggerne la salute nel bel mezzo di una emergenza sanitaria dichiarata, in cui l’utilizzo continuativo di mascherine in aula viene adottato quale unica misura di sicurezza ed imposto a bambini di 6-11 anni”.
Tuttavia, le lezioni a distanza rappresentano un problema, soprattutto per gli studenti più bisognosi di attenzioni e supporto, sia per ragioni socio-economiche, sia per la presenza di BES (Bisogni Educativi Speciali). Proprio queste due fattispecie rappresentano le principali cause di emarginazione, come rivelato dall’indagine “Pratiche didattiche durante il Lockdown”, realizzata da INDIRE (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa).
Sulla base di questa evidenza, Ca’ Foscari Challenge School ha lanciato un nuovo Master dedicato alla “Educazione linguistica inclusiva e accessibile”, che partirà a gennaio per formare docenti ed educatori impegnati nella “DAD”, con la quale evidentemente dovremo convivere anche nel prossimo futuro, nonostante un’insofferenza sempre più evidente.
E il disagio degli italiani in questo secondo regime di restrizioni sociali non si limita alla scuola, come spiega un’altra ricerca: “Vita ed Energia, i bioritmi degli italiani 2020”, condotta da Astra Ricerche. Lo studio evidenzia come le misure preventive alle quali siamo sottoposti per via della pandemia stiano causando un deficit energetico, che molti cercano di compensare col cibo: il 60% degli intervistati afferma di sentirsi debole e apatico quando ha poca energia e il 40% si sente spesso nervoso o ansioso. Secondo la psicoterapeuta Katia Vignoli, a risentire maggiormente della situazione sono le donne e, ancora una volta, i giovani: “Credo che le donne ‘soffrano’ più degli uomini perché, oltre all’eccessivo carico di compiti che devono ancora sostenere (gestione familiare, lavoro, cura della casa, ecc.), sono – per conformazione psichica – più empatiche, hanno più facilità a identificarsi nelle vicende della collettività. I più giovani, invece, per definizione non tollerano rinunce, regole restrittive, e oggi hanno più difficoltà che mai a progettare il proprio futuro”.
Antonella Viola, Immunologa dell’Università di Padova diventata molto popolare con le sue presenze in TV, spiega che “Le conseguenze della chiusura della scuola sulla salute psicofisica di bambini e adolescenti sarebbero devastanti. Le misure messe in atto per combattere il Covid-19 devono tener conto del loro effetto sulla salute globale, specialmente di quella delle generazioni future”. Il suo appello si unisce a quello di un gruppo di 16 tra i più importanti medici e ricercatori italiani, che chiedono al Governo di scongiurare un nuovo lockdown nazionale, ricorrendo invece a chiusure mirate nelle zone critiche o magari intermittenti, ma soprattutto di lasciare le classi in funzione: “La risposta alla crescita dei contagi non può essere la chiusura delle scuole, che – come tutti i dati regionali confermano – non rappresentano significativi hotspot dei contagi”, spiega Stefano Zona, specialista in Malattie Infettive dell’AUSL di Modena.
Susanna Esposito, Direttrice della Clinica Pediatrica dell’Università di Parma, osserva che: “In uno studio nazionale effettuato durante il primo lockdown su 2.064 adolescenti di età compresa tra 11 e 19 anni, abbiamo dimostrato che il 58,5% dichiarava una sensazione di tristezza che si associava a crisi di pianto (nel 31% dei casi) e ad agitazione (nel 48%) come conseguenza della chiusura delle scuole, con il 52,4% dei ragazzi che riferivano disturbi alimentari e il 44,3% che presentavano disturbi del sonno. Inoltre, la chiusura della scuola in presenza determinerebbe un ulteriore aggravamento delle diseguaglianze, con un impatto sociale drammatico soprattutto per le famiglie con persone con disabilità e gravi malattie croniche”.
Pertanto, come aggiunge Zona, “la politica deve agire con scelte rapide e razionali. In Italia nel 2019 1.137.000 bambini (l’11,4% del totale) vivevano in condizioni di povertà assoluta. Si stima che in conseguenza della pandemia questo dato sia cresciuto di un milione di bambini. La chiusura delle scuole avrebbe conseguenze psicologiche, educative e sociali drammatiche, oltre che economiche”.