Il 23 dicembre scorso, mentre gli italiani si apprestavano a festeggiare il Natale tra un tampone e l’altro, andava in onda su Radio24 l’ultima puntata prima delle feste de La Zanzara, il programma che dal 2006 Giuseppe Cruciani pensa, scrive e conduce con la complicità in onda di David Parenzo. Cinque giorni dopo sarebbe caduto sulla trasmissione il meteorite della morte per Covid del signor Mauro Buratti da Mantova, sessantenne no vax, complottista, insultatore metodico, anima fragile e personaggio abituale del barnum crucianico. «Basta costruire mostri!», ha protestato chi ne La Zanzara vede una macchina fomentatrice di deliri. Intanto sull’altro fronte, quello dei fan dello zanzarismo, si invocava la libertà di espressione e sarcasmo. Una guerra (in)civile sui social e non soltanto. Ma ora torniamo alla puntata del 23 dicembre, quella ante polemiche e considerabile quindi come prodotto di routine. Uno spazio in bilico tra attualità e grottesco che, mentre le altre emittenti passavano per la milionesima volta Last Christmas degli Wham è decollato alle 18.30 per atterrare circa due ore dopo. All’interno, ospiti il diacono escatologo e anti vaccinazioni Renzo Ventrudo, la ruttatrice Caterina Branchini con il suo compagno altrettanto ruttante Andrea Carra, il segretario nazionale di Fascismo e libertà Carlo Gariglio cultore di nonno Adolf e una coppia scambista composta manzonianamente da tali Renzo e Lucia. Menu condito, grazie ai conduttori e altri innesti telefonici, da un’esondante sequenza di “cazzo”, “puttanate”, “coglioni”, leccaculo”, “testa di merda”, “stronzo”, “minchia di cane” e altri dirty-innesti usuali nella grammatica narrativa dello show. Sullo sfondo, come sempre accade dal lunedì al venerdì, granate di musica metallara. Dentro di me, invece, la gran voglia di chiedere a Giuseppe, anni 55, romano, una figlia, laurea in Scienze politiche con tesi su Sendero Luminoso, mente brillante e instancabile, lavoratore ansioso e perfezionista, autore del libro Nudi, il sesso degli italiani nonché vincitore nel 2013 del prestigioso Premiolino assieme al suo radio-socio, che senso abbia tutto questo. Quanto cioè, in un periodo già sgangherato, serva pigiare sempre e comunque il pedale degli eccessi, del grottesco e della violenza verbale.
«Naturale che mi ponga delle domande, è doveroso, ma non mi chiedo cosa sia utile o inutile a chi segue La Zanzara. Mi chiedo invece cosa diverta il pubblico e che elementi possano contribuire ad allargare la platea. È questa la mia priorità».
«È una stronzata, oltre che una balla inaudita, credere che un programma radiofonico fatto di intrattenimento, informazione e opinioni possa contribuire ad esasperare gli animi. Piuttosto fotografa la realtà e la riproduce con momenti di rabbia, altri nei quali si ride, altri ancora dove raccontiamo come gli italiani si comportano a letto».
«Chi ha scritto questa nota non sa cosa cazzo sia, uno shok jock. È una figura tipica della radiofonia americana, oggi superata, che aveva come caratteristica principale quella di spararle grosse o di farle sparare grosse».
«Allora diciamo così: sono onorato di appartenere alla categoria degli shock jock, ma ciò non significa essere per forza volgare o violento. Io sono la persona più pacifica del mondo. Cito un motto sgarbiano che condivido: si può utilizzare il massimo della violenza verbale, ma mai la violenza fisica».
Pensare che la violenza delle parole non possa portare ad altre conseguenze è un po’ ingenuo.
«Dipende da cosa uno dice. In radio non ho mai incitato alla violenza. Mi limito a dare della testa di cazzo o dello stronzo a qualcuno».
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