Una città che non riesce a mantenere saldo, intatto, vitale e autentico il suo centro storico cittadino è colpevole di sperperare, usurpare, sporcare il suo passato e venderlo al miglior offerente di turno. Il che è persino peggio se la città in questione è Roma, da sempre quasi unicamente incentrata sulla sua storia, costantemente cioè rivolta al suo passato.
E al di là della sporcizia, davvero indegna per la verità, e dei problemi che la rendono una città immobile, quasi respingente, pressoché invivibile per uno straniero che non abbia col tempo (e a fatica) trovato una dimensione propria nel muoversi, per spostarsi da A a B, al di là di questo, è chiaro a tutti – anche a chi il centro non lo abbia mai vissuto – che Roma ha un problema nel capire se stessa, nel capire cosa voglia essere da grande, nel plasmare il suo futuro.
Il centro storico di Roma – diciamolo chiaramente – è abbandonato a se stesso, senza che esista una strategia chiara da parte dell’amministrazione locale su cosa farne, come conservarlo, o su come eventualmente trasformarlo, a beneficio di cittadini locali e dei turisti. Esistono casi eclatanti di simboli storici del passato e del presente, “intramontabili nel tempo” si dice, che sono stati volutamente o meno lasciati perire. Che dico: uccisi. Vergogna.
E infatti oggi dall’Esquilino a largo Argentina, passando per piazza di Pietra, il Pantheon piazza Navona e dintorni, Campo Marzio e molto altro ancora: è un fuggi-fuggi generale. Tutti fuggono, locali, famiglie, scuole, ristoranti. Nella morsa di un centro storico che non sa più cosa sia, incapace di conservarsi con dignità anche in assenza di un’economia di mercato evidentemente cambiata negli anni.
Col risultato – nelle parole del cronista del Messaggero Lorenzo De Cicco – che oggi il centro storico “rischia di ridursi a una successione di pizzerie al taglio & mini-market h24, pub con lo shottino a 3 euro e appartamenti convertiti in affittacamere buoni per i turisti low budget capitati qui cavalcando l’onda dell’ultima offerta su internet. Mentre i residenti storici, stritolati dalla movida chiassosa e sciatta, si rifugiano altrove”.
Da che io ricordi, il centro di Roma ha sempre assunto un valore altamente simbolico per chi lo viveva: tanto per la sua storia quanto per il suo valore intrinseco insieme culturale e artistico. Ambita, ambitissima da chiunque, inavvicinabile per molti, la casa al centro (in affitto o in vendita) è da sempre una chimera. Talvolta persino per i politici che “devono” viverci per motivi di lavoro. C’è chi preferisce vivere in 30 metri quadrati ma in centro che più comodamente altrove ma fuori dal centro. Eppure da 15 anni a questa parte il centro di Roma vive un declino inesorabile, graduale ma costante, e ben visibile.
Non c’è un luogo simile a come fosse dieci anni fa. Peggio: non c’è luogo del centro di Roma che sia cambiato in meglio. Sta di fatto che la gran parte dei locali storici, delle attività commerciali di sempre, dei ristoranti ha chiuso i battenti, o si è spostata altrove. “Le serrande nei negozi di pregio si abbassano a un ritmo mai visto prima, una resa davanti alle lenzuolate di paccottiglia e merce contraffatta che gli abusivi srotolano nelle piazze più visitate dai nuovi turisti, in vena di compere contingentate”.
Secondo i Dati della Camera di Commercio, “dal 2013 al 2018 in tutti i quartieri del Centro hanno aperto 8.354 imprese ma 8.619 hanno chiuso. Il saldo negativo è di 265 attività. Le statistiche dicono che negli ultimi sei anni sono esplose le attività di ristorazione e dei servizi di alloggio: 1.872 aperture contro 707 chiusure. Male tutto il resto o quasi. Nel settore dell’artigianato hanno chiuso 388 imprese e 322 hanno aperto. Nel commercio, 1.703 nuove iscrizioni contro 1.977 chiusure. Altro distacco, in negativo, per il comparto dei servizi alle imprese, dei noleggi e delle agenzie di viaggio: 621 nuove iscrizioni e 939 cessazioni. Ma il centro storico è anche il municipio di Roma col più alto indice di vecchiaia: 234 ultra 65enni ogni cento under 14. Cinque anziani per ogni bimbo con meno di 6 anni. Anche l’età media è tra le più alte della città, più di 47 anni”.
Prima delle attività commerciali, però, ad andarsene sono stati gli abitanti: famiglie, cittadini lì trapiantati da anni o decenni, strozzati dal depauperamento dei loro beni. C’è chi ha venduto casa perché non aveva più un euro e con la vendita di quell’immobile ha preferito incassare poco e subito, chi lo ha fatto perché strozzato dalle tasse, che in assenza di un lavoro non poteva più permettersi di pagare, chi è fuggito per via dei costi eccessivi visto che oggi chi detiene immobili rialza il prezzo a cifre a doppio zero.
Così, con le famiglie in fuga e i soldi svaniti nel nulla, il centro storico ha perso la sua linfa vitale e con essa parte della sua anima. Ecco qualche numero, allarmante, ben documentato dal lavoro prezioso di De Cicco: “Nel 2006, nel centro di Roma abitavano in 194.362 … Nel 2017 toccano quota 180.606 abitanti. Una discesa verticale, annotata nell’ultimo rapporto dell’Ufficio Statistica del Comune di Roma. Senza contare che il numero dei residenti «effettivi», secondo il I Municipio, è ancora più basso. Siamo ampiamente sotto ai 165mila abitanti reali, stima la presidente della circoscrizione del Centro storico, Sabrina Alfonsi:. Molti figurano come residenti solo sulla carta, ma di fatto non abitano qui”.
Questo fenomeno ha portato a due conseguenze: 1. la proliferazione di attività commerciali di dubbia natura (nel senso che durano pochi mesi e nel senso che spesso evadono le tasse pagando in nero, salvo poi riciclarsi per ripartire da zero approfittando di agevolazioni fiscali) e di dubbia utilità (nel senso che non servono a nessuno se non agli stranieri che cercano di fregare); 2. la proliferazione della gig economy (l’economia dei lavoretti, dei mestieri cioè che una persona svolge a tempo perso come secondo lavoro, vedi Airbnb ad esempio) che oggi domina incontrollata il centro storico di Roma. Pressoché tutti, ma dico proprio tutti, hanno mollato casa in centro per fare spazio a un B&B, a un’attività ricettiva con cui ripagare le tasse sugli immobili di proprietà o, più spesso di quanto non si pensi, con cui persino campare, letteralmente.
Il motivo? Viene in soccorso ancora De Cicco, che scrive: “Complice la crisi, conviene a tanti affittare l’appartamento in centro, per fare affari coi turisti, e spostarsi anche di pochi chilometri, nelle zone semi-centrali. È un trend che si può invertire solo con scelte politiche forti. Per esempio? In altre capitali sono state introdotte restrizioni molto severe per aprire affittacamere e bed & breakfast. Solo sulla piattaforma di Airbnb a Roma oggi si contano 29.436 annunci (cinque anni fa erano 13.500, l’aumento è del 118 per cento). La metà, 14.943, sono in Centro storico. E 10.497 (il 70.2 per cento) sono appartamenti interi. Dove cioè non abita nessuno in modo stanziale”.
Questo mega-trend, che riguarda la nostra società, è ravvisabile anche nei centri storici di altre città italiane, sia pure in forme e modi diversi. E beninteso, questa denuncia non vuole certo servire a dire che il centro storico di Roma sia la priorità numero 1 della capitale, lungi dall’essere così oggi; ma un’amministrazione locale che guardi al futuro, oltre il proprio naso, e voglia evitare che negli anni a venire si dica “stiamo ancora pagando quello che hanno fatto gli altri in passato” dovrebbe rivedere le sue molteplici priorità e il suo piano di salvaguardia del territorio per il centro della capitale d’Italia. Nel beneficio di tutti.
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