È una donna che sogna in grande ma con i piedi ben piantati a terra il medico Cristina Fazzi, che da Enna, nel centro della Sicilia, nel 2000 si è trasferita nello Zambia per sostituire temporaneamente una collega, e da allora non ha mai smesso di vivere e di animare importanti progetti socio-sanitari nel Paese dell’Africa sud-orientale, tramite la sua Ong Twafwane association. La storia di Cristina è raccontata nel libro “Karìbu. Lo Zambia, una donna, una grande avventura” (Infinito edizioni, 2022) scritto insieme alla giornalista Rai della testata regionale Sicilia Lidia Tilotta, che già aveva prestato la sua voce e la sua penna a un altro medico al servizio della comunità, il lampedusano Pietro Bartolo, con il libro “Lacrime di sale”, uscito per Mondadori nel 2016.
Nella lingua bemba, la più parlata nello Zambia, “karìbu” significa “benvenuto”. Un augurio che accompagna i lettori lungo tutte le avventurose vicende raccontate nel libro. Cristina si ritrova in un Paese sconosciuto, al tempo stesso insidioso e meraviglioso. Dai primi mesi di lavoro nei boschi, senza corrente elettrica, tra topi e serpenti, alle rossastre baraccopoli zambiane, dove vivono persone in situazione di estrema povertà, spesso intontite dagli effetti del “kachasu”, una sostanza stupefacente ricavata dagli scarti di lavorazione dello zucchero, fino al campo profughi di Meheba, che oggi ospita oltre 50mila persone fuggite da Angola, Congo e altri Paesi.
In ognuno di questi casi, Cristina si è sempre mossa “in punta di piedi”. Non ha mai imposto dall’alto un approccio “occidentale”, basato su un modello spesso considerato aprioristicamente migliore. Ha saputo entrare in contatto con le comunità e con i loro leader: in primis i chief, o capi locali, uno dei quali ha donato a Cristina nel 2003 la terra di Silangwa, dove lei ha realizzato il primo ospedaletto, oggi in fase di passaggio alle autorità governative, che intendono investire sul posto e portare avanti ciò che lei ha iniziato. Ma ha saputo anche coinvolgere le persone del luogo nei suoi progetti: opera infatti sempre con personale e volontari locali, appositamente formati, con i quali è in grado di fornire valide risposte – per quanto necessariamente parziali – a problemi enormi del Paese, come la malnutrizione, la malaria, l’Aids. Con il suo Mayo-Mwana Project (Progetto Donna-Bambino) ha portato avanti il programma nutrizionale per l’assistenza di bambini con problematiche nutrizionali, quali denutrizione e arresto della crescita, rivolgendosi in particolare a neonati orfani o neonati di madri HIV sieropositive o a bambini di età superiore ai sei mesi, orfani o in situazione di estrema povertà o grave malattia o disabilità. A questi bambini è garantito mensilmente un supplemento alimentare, preceduto da un incontro di educazione sanitaria con le famiglie e da una dimostrazione di cucina.
Un altro tassello importante del lavoro di Cristina sono i Mother Shelter, luoghi situati in prossimità degli ospedali, in cui le donne possono andare a trascorrere i giorni antecedenti al parto, evitando così di mettersi in viaggio a piedi per chilometri durante il travaglio, evento che può comportare il rischio di decesso per la donna e il bambino. Il più recente progetto del medico siciliano è poi l’Ishuko Project, o progetto “Opportunità”, un centro di salute mentale per ragazzi e adolescenti affetti da patologie psichiatriche, che costituisce il primo di questo genere in tutto lo Zambia e che è stato inaugurato proprio in questi giorni nella baraccopoli più povera di Ndola.
I capitoli del libro intrecciano le attività di Cristina con le sue vicende personali, in cui si trovano le radici delle sue scelte da medico, da donna e da madre: dal legame profondo col nonno Vincenzo ai preziosi insegnamenti del padre, anche lui medico, che le faceva allenare l’orecchio alla percussione su un tavolo costruito con delle travi, tecnica che si sarebbe rivelata fondamentale per effettuare alcune diagnosi in Zambia, senza macchinari a disposizione; dall’esperienza della malaria, terribile malattia vissuta sulla propria pelle da Cristina, a quella di un trattenimento forzato e illegittimo ai suoi danni da parte di alcuni poliziotti locali, che probabilmente volevano solo estorcerle denaro. Fino alle parti più toccanti: quelle delle visite nell’orfanotrofio locale che hanno spinto Cristina ad adottare un bambino e a prenderne, nel corso del tempo, altri sette in affido.
Sì, perché Cristina è anche una mamma. Una mamma single, la prima cui è stata riconosciuta in Italia, dopo una battaglia durata tre anni, l’idoneità genitoriale accertata all’estero del figlio adottivo Joseph. Ed è anche madre affidataria di altri sette figli, in affido perché non adottabili, di cui si prende cura insieme a dei collaboratori.
Tra un capitolo e l’altro, il libro Karìbu è arricchito da dei QR-Code che rimandano ad alcuni video su Youtube, grazie ai quali le già vivide descrizioni dell’ambiente, del contesto e delle attività di Twafwane association si traducono in immagini. A patrocinare il libro è l’associazione Jatu, nata a Enna per aiutare Cristina a raccogliere fondi per i suoi progetti. Intorno al medico infatti si è creata una rete di sostenitori della sua città natale, partita dalla sua parrocchia, la Mater Ecclesiae di Enna, e dal parroco Angelo Lo Presti: un gruppo di persone che conosce e stima Cristina e che ha deciso di accompagnarla nelle avventure che lei porta avanti con consapevolezza e determinazione. Ma mai da sola.
In uscita, su uno dei prossimi numeri del settimanale di TPI, l’intervista a Cristina Fazzi. Qui sotto la copertina del libro “Karìbu“