Dopo aver pronosticato un possibile lockdown a Natale, Andrea Crisanti, professore di Microbiologia all’Università di Padova, torna a parlare dell’emergenza Coronavirus in un’intervista a La Stampa, in cui sostiene che in Italia stiamo assistendo alla “Caporetto della prima linea difensiva, il contact tracing”, ovvero al fallimento del tracciamento dei contatti dei positivi al Covid-19.
Crisanti, microbiologo di fama dell’Imperial College di Londra, è noto in Italia come il padre del “modello Vo“, che all’inizio dell’epidemia ha contribuito a limitare i danni in Veneto. “Così come siamo il sistema è saturo”, sostiene oggi nell’intervista. “Le previsioni non si fanno però sui numeri dei nuovi contagi, bensì sul rapporto tra nuovi positivi identificati e persone in isolamento domiciliare”.
Per il professore, questo significa che “per ogni nuovo contagiato è necessario identificare in media tra le 15 e le 20 persone con le quali è venuto a stretto contatto. Con oltre settemila nuovi casi di positività dovremmo rintracciare e mettere in isolamento domiciliare 140mila persone. Invece leggo che nelle ultime 24 ore ne sono finite in quarantena appena 1.300. Vuol dire che il 95 per cento di quelle persone potenzialmente infette circola liberamente per il Paese“.
Crisanti parla quindi della “Caporetto della prima linea difensiva, il contact tracing”. L’aumento dei casi, per l’esperto, “non lo fermiamo più né con il contact tracing e nemmeno con quello che chiamiamo network testing”, ovvero “il metodo che abbiamo utilizzato a Vo’ Euganeo o al Senato, testando un’intera comunità a rischio di contagio”.
Quali sono allora le possibili soluzioni? “Con questi numeri bisogna diminuire i contatti personali e passare a chiusure via via più estese”, perché “il virus passerà inesorabilmente dai giovani agli anziani facendo salire ricoveri. E purtroppo anche i decessi”. Altrimenti “bisognerà girare quello che gli inglesi chiamano l’interruttore di trasmissione: ci fermiamo tutti per due-tre settimane“.
Sull’efficacia delle misure varate dal governo con l’ultimo Dpcm, Crisanti non si sbilancia: “Nessuno può dirlo. Vedremo tra due settimane”, dice. “Non voglio far polemiche, perché in questo momento ho a cuore solo l’interesse del Paese, ma quello che si poteva fare l’ho già proposto tempo fa”. Il riferimento è al suo piano da 300mila tamponi al giorno: “Con 40 milioni di investimento potremmo acquistare i macchinari capaci di processare più tamponi in meno tempo e con minor uso di reagenti, come abbiamo fatto a Padova. Il costo a regime sarebbe di due milioni al giorno. Con il modo che abbiamo oggi di eseguire i test stiamo spendendo di più”.
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