“Spezzo una lancia a favore dei ragazzi: vivono in una società difficile”. La criminologa Angelica Giancola commenta così oggi su un quotidiano locale la storia dei ragazzi friulani che hanno indossato le t-shirt “Centro stupri” e prenotato il tavolo in discoteca con lo stesso nome. Comportamenti che tra tweet e foto postate sui social andavano avanti da un po’, di una gravità a cui non è esattamente facile trovare alibi. La criminologa in questione però, con notevoli acrobazie dialettiche, ne fornisce qualcuno, pur sottolineando la gravità del gesto.
“La mancanza di socializzazione, figlia dei mesi di isolamento, la voglia di recuperare il tempo perso, la ricerca di un posto al sole”, secondo la Giancola sarebbero uno dei moventi. E lo slogan “Centro stupri” secondo lei non rappresenta un’adesione a un pensiero o a un comportamento, ma “è una bassa provocazione che mira a far parlare di sé”. “Pensiamo solo al periodo che abbiamo passato, ai giorni di convivenza forzata tra le mura domestiche associati non di rado a problemi economici. Se uno era la parte forte, in questa condizione, diventa ancora più violento”.
Direi che non dovrebbe essere questo il caso dei ragazzi del Centro stupri, tutti di famiglie più che facoltose. E poi, sempre sui ragazzi e il loro gesto, la criminologa aggiunge: “I ragazzi vivono in una società difficile e sono in grandissima difficoltà. Tante volte interrogandoli mi sono sentita dire “volevo solo essere ascoltato””. Insomma, un po’ colpa del lockdown, un po’ della ricerca di visibilità, un po’ del desiderio di essere ascoltati. Vostro onore, l’imputato è assolto.