“Questo non è un paese per vecchi”, sembrano voler dire certe pagine di cronaca che hanno accompagnato i momenti più dolorosi della prima ondata, e si spera anche l’ultima, del Coronavirus. Anzi, la sensazione è che “questo non è un pianeta per vecchi”. Quando l’emergenza ha seppellito in quattro e quattr’otto la retorica dell’amore per i nonni, abbiamo scoperto che “vecchio”, in fondo, è ancora un’offesa. Che essere vecchi è una specie di colpa. Che un “vecchio”, in quello che potremmo definire il “vitodromo” del mondo, dove l’esistenza è una corsa verso il niente, torna ad essere un feticcio primitivo del terrore di morire: e, oltre ad essere un peso per la società, è anche sporco e infetto. Quasi è sembrato che i focolai del Covid attecchissero tra gli anziani, come il fuoco tra secche fascine.
Paola Barbarino, CEO dell’Alzheimer’s Disease International, l’organizzazione che dirige a livello mondiale la lotta alla demenza, che noi di TPI abbiamo intervistato in esclusiva, afferma che “l’esperienza del Coronavirus ha dimostrato come le persone anziane siano ancora ben lontane dall’ottenere la parità di diritti. L’idea che quanto accaduto in alcune case di cura, a causa del Covid, possa essere colpa di coloro che vi risiedono come ospiti è semplicemente assurda, per non dire indegna. I governi hanno gravi responsabilità nella cronica mancanza di risorse destinata agli anziani”, tuona la Barbarino. “A livello globale i diritti civili degli anziani sono letteralmente ridotti ai minimi termini. Occorre che la politica si decida a riservare agli anziani la giusta attenzione, anche perché si tratta di una fascia della popolazione destinata, col tempo, a diventare preminente nei Paesi più progrediti. L’attuale stato delle cose non è tollerabile, e ci fa capire quanto lunga sia, al di là delle parole, la strada che bisogna compiere per arrivare alla parità dei diritti fra le persone cosiddette ‘normali’, e quelle più fragili”.
A lanciare l’allarme in Italia sulla pessima gestione mediatica dell’intero fenomeno, è stato il professor Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, e autentico nume tutelare dell’anziano nel nostro Paese: “Continua la campagna denigratoria nei confronti delle case di riposo” ha tuonato Trabucchi, “facendole apparire dannose e inutili nel nostro panorama della cura delle persone anziane. Ancora una volta si usano i dati dei NAS per insinuare che si tratti di luoghi infelici, dove i nostri vecchi sono bistrattati. Ma, se si compie un’analisi seria di questi dati, si scopre che le disfunzioni sono limitate a quei luoghi che in realtà non hanno nessuna capacità di cura, e che non sono mai stati adeguatamente controllati; si tratta di pensionati privi di operatori qualificati e nelle mani di sfruttatori. Ma quanto è difficile convincere la gente che si tratta di luoghi che nulla hanno da condividere con quelli dove invece ci si prende cura degli anziani con preparazione, sensibilità, gentilezza!”.
Già, quant’è difficile. Eppure l’Italia è al primo posto per qualità dell’assistenza: a patto di finire nelle mani giuste. Adelaide Biondaro, direttore dell’Istituto Assistenza Anziani di Verona, spiega: “Chi ama gli anziani e lavora con loro, fatica a comprendere perché contro le RSA si sia scatenata una campagna mediatica così violenta. Alcuni giornalisti si sono spinti ad affermazioni come “li hanno uccisi in casa di riposo”. Prima del Covid, ottenere l’attenzione dei media sulla cura degli anziani era un’impresa. Ma da febbraio in poi le RSA si sono ritrovate quotidianamente in stato d’accusa. Nessuno ha ascoltato le nostre grida d’allarme, all’inizio. Né ha contato il fatto (parlo per esperienza personale) che su una struttura di 92 posti letto, col 60% dei residenti contagiato, il 90% siano guariti grazie all’impegno strenuo di operatori, infermieri, educatori e responsabili. Ma forse nel mirino non ci sono le RSA, bensì ‘i vecchi’… Si è dato giustamente risalto ai vari settori della nostra società, a cominciare dagli ospedali, che hanno eroicamente affrontato l’emergenza dell’epidemia, ma sulle RSA non si è scritto un rigo. Le RSA sono comunità, e forse questa è la malattia del nostro tempo: abbiamo perduto il senso della comunità”.
Paola Benetti, educatrice professionale, della Cà Arnaldi di Noventa vicentina, sottolinea: “Oggi il tema delle RSA è al centro dell’attenzione solo per ciò che riguarda l’emergenza Covid19: se n’è parlato quando sono scoppiati i casi positivi e la situazione è diventata drammatica, ma non si dice una parola rispetto a ciò che di bello e di buono si fa per gli anziani, al di là dell’emergenza. Né di come gli anziani stessi vivano oggi nelle RSA che, per la maggior parte, sono centri in cui si eroga un eccellente servizio. Duole dire che quanto riportato da stampa e tv spesso non rispecchia la realtà, ma tende a veicolare messaggi di abbandono e incuria. Chi lavora come me nelle RSA è consapevole che solo attraverso un’alleanza terapeutica tra l’anziano, la sua famiglia e la struttura può esserci sinergia per il bene dell’anziano stesso: questa alleanza si declina in presa in carico delle persone, sia residenti che familiari, dimostrando nella quotidianità con parole e fatti il valore che si dà alle persone. Soprattutto in questi mesi di lontananza forzata, gli operatori delle RSA hanno dovuto raddoppiare i propri sforzi, perché hanno avuto un ruolo nuovo da ricoprire: quello di essere più vicini all’anziano per supplire alla lontananza dei suoi cari. Ma tutto questo, purtroppo, non fa notizia”.
La realtà delle case di riposo è fitta e complessa al Nord, carente e alopecica al Sud. Ida Giannattasio, direttrice della casa per anziani Lucrezia a Petina (in provincia di Salerno), nel cuore del Cilento, fa a sua volta parte di questi eroi, troppo spesso senza volto e senza nome, che tengono alto anche nel Mezzogiorno il vessillo della buona accoglienza: “In tema di Covid”, dice Giannattasio, “le case di riposo sono state e sono quasi sempre al centro dell’attenzione per colpa di sporadiche notizie negative, che tuttavia riscuotono purtroppo ben più interesse da parte della gente. Le strutture, anche le migliori, rischiano di essere viste come focolai di infezione, e così facendo si rischia di rendere gli anziani ancora di più emarginati. Come struttura, la nostra Comunità tutelare Lucrezia, che dirigo e che fa parte della Colomba società cooperativa, ha sin da subito adottato i più rigidi provvedimenti emanati nei vari Dpcm, al fine di tutelare i nostri anziani. Per un periodo siamo stati circondati da zone rosse in tutta l’area del Vallo di Diano e del Cilento in generale. Ma siamo scesi in trincea e di concerto con le famiglie abbiamo anche adottato strumenti alternativi di comunicazione per far sentire la vicinanza dei familiari ai nostri ospiti, senza interromperne il provvisorio, ma vitale isolamento. Abbiamo fatto l’impossibile per mantenere nella struttura un clima di serenità, e devo dire che tutti si sono spesi fino al limite delle forze”.
L’assistenza, insomma, non è un mestiere, è una missione: “Le case di riposo”, ci dice infatti Elena Bortolomiol esperta di Gentlecare e di organizzazione di servizi per anziani, “sono luoghi dove c’è la vita in una delle sue espressioni più fragili e intense. Non sono asettici istituti, ma scrigni pieni di ricordi e di emozioni che traspaiono negli occhi dei nostri anziani, anche e forse soprattutto di quelli colpiti dalla demenza, con la stessa spontaneità con cui traspaiono negli occhi di un bambino. È ingiusto accusare una intera categoria, per colpa di poche mele marce. Tanti si impegnano con abnegazione giorno dopo giorno, a tutti i livelli, affinché gli ospiti delle case di riposo vivano in ambienti confortevoli, puliti, rassicuranti, dove l’attenzione alla persona si esprime come un rito quotidiano. Prendersi cura di qualcuno, vuol dire innanzi tutto farlo sempre”.
Già, ma la nostra società ama l’inaugurazione, e si scorda della manutenzione. E gli anziani vengono più strumentalizzati, che difesi. Col rischio di trasformarsi in un feticcio del male. In un simbolo del declino della vita, dal quale rifuggire. Anzi, da esorcizzare. Qualcosa che, che come un caricaturale carro carnascialesco, dev’essere incendiato, affinché venga purificato.
Chiudiamo questo viaggio fra i protagonisti dell’assistenza, con il Sud, nella verdissima Irpinia, e scopriamo che invece un “paese per vecchi” esiste davvero: e si chiama Monteverde (in provincia di Avellino). Ottocento anime intorno a un castello normanno, Monteverde ha sfiorato il game over per spopolamento, ma adesso è in pieno rilancio, tanto da essere premiato dall’Unione Europea nel 2019 per il miglior progetto di accoglienza ai disabili.
“Guai toccare gli anziani, portatori di cultura, memoria e di verità!”, ci dice con grande slancio di passione civile, Tonino Vella, vice sindaco: “Gli anziani sono i pilastri del nostro sentire. Per questo con la mia comunità abbiamo pensato di dedicare l’intero paese all’accoglienza e di farne un piccolo laboratorio di innovazione nel campo dell’accessibilità e dell’inclusione delle persone fragili. Il futuro” continua Vella, “va oltre il concetto di casa di riposo o di RSA, e noi abbiamo pensato di costruire nel nostro, come in tutti gli innumerevoli e splendidi piccoli paesi a misura d’uomo che ci sono in Italia, un modello di comunità inclusiva che possa accogliere tutti. E il paese a misura d’uomo, si badi, è un paese altamente tecnologico: un paese connesso, che consenta all’anziano, come a qualsiasi persona, di non essere mai solo nel senso deleterio del termine. Dobbiamo renderci conto che gli anziani, persino sul piano turistico ed economico, non sono una zavorra e un problema, ma una risorsa”.
Parlare di “anziano malato” in fondo è un controsenso. La parte finale della vita, come quella iniziale, è una condizione di fragilità in sé. Bambini e vecchi sono l’alfa e l’omega. E noi siamo un po’ gli uni, un po’ gli altri. Gli anziani sono vittime, e non causa del Covid. Essere vecchi non è un crimine. E anche se non è facile, dobbiamo capire che gli anziani non sono più il passato: sono il futuro. Quel futuro che un giorno sempre più lontano, con un po’ di fortuna, saremo noi.
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