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    “Ho contratto l’HIV col sangue infetto. Lo Stato non traccia le vittime Covid perché sarebbe un salasso”

    Di Elisa Serafini
    Pubblicato il 22 Mag. 2020 alle 07:25 Aggiornato il 22 Mag. 2020 alle 15:30

    Andrea Spinetti ha 55 anni, un passato da promotore finanziario, è una delle decine di migliaia di vittime della cosiddetta “strage del sangue infetto”, una vicenda che ha colpito pazienti e cittadini sottoposti a cure ospedaliere dove sono stati somministrati farmaci e cure infettate da virus. Andrea è uno dei fondatori del “Comitato vittime del sangue infetto”. Di questa dinamica aveva parlato anche la serie “1992”, con il giovane protagonista Luca Pastore (interpretato da Domenico Diele), poliziotto sieropositivo a causa di una cura di emo-derivati.

    Cos’è successo innanzitutto alle vittime del sangue infetto?
    La vicenda nasce dall’assenza di norme di tracciabilità dei trattamenti a base di sangue, durata per quasi trent’anni, dal 1967 al 1994. Le vittime da sangue infetto si dividono in due gruppi: quelli contagiati attraverso trasfusioni avvenute negli ospedali, e quelli che hanno contratto infezioni attraverso farmaci ottenuti da plasmaderivazione, come è successo a me. Attraverso questi farmaci io ho contratto purtroppo l’HIV nei primi anni ‘80.
    Come è successo?
    A seguito di un intervento chirurgico, avendo dalla nascita una patologia del sangue, ho dovuto assumere uno di questi farmaci. E lì è iniziato tutto. All’epoca esistevano tecniche di inattivazione e controllo per quello che si conosceva (ad esempio l’epatite) e non per quello che non si conosceva, come l’HIV. Si sapeva però che c’era una forma di epatite (non B o A) su cui si sarebbero potuti fare alcuni controlli.

    E poi?
    La diagnosi da HIV è arrivata nel 1990, dieci anni dopo. Nessuno conosceva quel virus prima, in più si parlava dell’HIV come di un virus che colpiva solo “gay, tossici e peccatori” come diceva qualcuno. Quando la realtà era, ed è, molto diversa e variegata. Il bacino delle infezioni da sangue infetto è stato molto più vasto, è iniziato negli anni ‘70 ed è stato tenuto nascosto.
    Quanti sono i contagiati da sangue infetto?
    Rispondo con una domanda: quanti sono i contagiati da Covid-19? Non si sa. Non si può sapere, perché non è stato effettuato alcun tracciamento.Pensate che non esiste un database che indichi quanti e quali persone hanno ricevuto risarcimenti dallo Stato in tutti questi anni. Sappiamo solo quanti percepiscono un tipo di indennizzo. Una cosa è certa: lo Stato dovrebbe tracciare le epidemie, perché in alternativa lo faranno i tribunali.

    Perché lo Stato non sta tracciando queste nuove vittime?
    Perché se tracciano sanno di dover dare molti soldi. Ragionano con l’idea che quando si scoprirà quali sono stati i reali danni della diffusione della pandemia, questi stessi leader politici non ci saranno più, e sarà un problema per chi verrà dopo.
    Ci saranno richieste danni come accaduto con il sangue infetto, con presunte responsabilità di Stato e enti ospedalieri?
    Ad oggi ci sono 40mila richieste di risarcimento danni da vittime del Covid-19. Lo Stato non deve fare in modo che le vicende di contagio da Covid-19 vadano in mano agli avvocati. Oggi nei pronto soccorsi ci sono gli avvocati pronti a dare i biglietti da visita ai familiari dei pazienti per fare cause. Ma questo sistema non è sostenibile, esattamente come non lo è stato per noi, vittime del sangue infetto. Io lavoro in collaborazione col Servizio Sanitario Nazionale e mi accorgo che le assicurazioni si stanno sfilando anche sulle polizze su cui avrebbero responsabilità. La frase più frequente è: “Se ci fanno causa tutti, saltiamo”.

    In che modo lo Stato dovrebbe occuparsi delle vittime e contagiati da Covid-19 che hanno contratto il virus per presunta responsabilità delle istituzioni?
    Proporremo un indennizzo da Covid soprattutto per operatori sanitari che sono stati mandati ad ammalarsi in condizioni di scarsa sicurezza. Una proposta è quella di istituire una legge quadro che dia una direzione dei giudizi per i tribunali. In questo modo potrebbe essere definita una struttura di indennizzi unica, con lo Stato che stabilisce gli indennizzi e le regioni che se ne occupano a livello locale. I giudici non conoscono la materia e si affidano a perizie esterne, questo alimenta costi e tempi. Ci sono 40mila richieste di risarcimento danni da vittime di Covid-19.

    Vede altre analogie tra il mancato tracciamento delle vittime da sangue infetto e quelle da Covid-19?
    Ci sono delle sovrapposizioni, ma le due vicende sono molto diverse. Però bisogna stare attenti. Come dell’HIV allora, anche del Covid-19 oggi sappiamo poco. Anche in questo caso non c’è stato un vero tracciamento, e ci sono state molte contraddizioni nelle indicazioni. Si sta creando la stessa angoscia, che non è paura, perché la paura la vivi quando temi qualcosa che conosci. L’angoscia invece riguarda qualcosa che non conosci, e che non sai prevedere. In più non riusciamo a focalizzare delle categorie a rischio, e come nell’HIV stiamo vivendo la catarsi del “basta evitare quelli che”.
    Quali sono gli altri rischi?
    Bisogna pensare ad una legge sui “lungo-latenti”, ovvero sui danni che potrebbero verificarsi a distanza di tempo. Oggi l’asintomatico non ha nulla, ma cosa sappiamo di cosa può succedere più avanti? Vanno tracciate anche queste persone e inserite in un follow-up

    Come stai vivendo la tua condizione da HIV positivo e l’epidemia di Covid-19?
    Oggi i malati cronici e gli HIV+ sono esclusi dai reparti di malattie infettive. C’è però un problema: per protocollo io dovrei andare a fare controlli in ospedale e ritirare farmaci, sempre in ospedale, con una certa frequenza. Non mi è consentito di andare in cliniche o altre strutture come tutti gli altri pazienti. Questa cosa non ha alcun senso e andrebbe cambiata. Io sono preoccupato perché i farmaci li prendo, ma i controlli non li sto facendo.Come con il Covid-19, siamo in alto mare.

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