Covid, superati gli 80mila morti: Italia prima tra i Paesi occidentali per tasso di mortalità
L’Italia ha superato la soglia di 80mila morti per Covid da inizio pandemia: un bilancio tristissimo in un momento in cui la curva epidemiologica non dà cenni di rallentamento. Una strage senza precedenti recenti per una singola malattia infettiva: l’influenza, tante volte citata a sproposito per un possibile paragone con il Coronavirus, fa registrare nelle annate particolarmente nefaste 6-7.000 vittime.
Il Covid in Italia si era già preso 35mila vite nella prima ondata, e dopo la tregua estiva ha ricominciato a uccidere, superando già dopo 2 mesi il drammatico bilancio di maggio, con oltre 45mila morti registrati nella fase attuale. Ma impressionante è soprattutto il confronto con il resto del mondo, qualsiasi parametro si consideri.
Covid, Italia tra le prime al mondo per numero di morti
Tasso di letalità – Il tasso di letalità, ad esempio, cioè il rapporto tra decessi e malati di Coronavirus, è tra i peggiori al mondo dopo Messico (4,35 per cento) e Perù (3,70 per cento), pari al 3,47%. L’Italia è prima per morti di Covid del mondo occidentale, con un tasso di mortalità pari al 3,47 per cento. Gli Usa infatti sono a 1,66 per cento, il Brasile a 2,50 per cento, persino la Gran Bretagna messa in ginocchio anche dalla variante inglese ha dati migliori: 2,62 per cento.
Morti per popolazione – Il dato dei decessi Covid per popolazione è ancora più inquietante, e probabilmente più attendibile. Nella classifica mondiale dei Paesi con più vittime, infatti, i dati assoluti vedono primeggiare gli Usa (quasi 390mila), seguiti da Brasile (204mila), India (151mila), Messico (135mila) e Gran Bretagna (83mila), seguita poco dietro proprio dall’Italia con gli 80mila morti registrati oggi, secondo i dati aggiornati di Worldometers. Ma è chiaro che il dato assoluto non tiene conto del numero degli abitanti. Come fa notare l’analisi dell’Ansa, se si “aggiusta” il dato rispetto alla popolazione, l’Italia da sesta schizza al primo posto tra i Paesi citati, con una mortalità di 1,320 vittime per mille abitanti.
Peggio degli Usa (1,173), del Brasile (0,960) e anche della Gran Bretagna (1,222). L’Italia in questi mesi non è riuscita ad abbassare la sua media e a riportarsi quantomeno al livello già tragico degli altri Paesi occidentali. Inoltre non è chiaro il motivo per cui nel nostro Paese il tasso di mortalità sia così alto soprattutto se paragonato con quello registrato in altri Paesi simili al nostro per demografia, clima, persino fragilità strutturali e politiche come la Spagna, dove si registrano 30mila decessi in meno dell’Italia da inizio pandemia.
Perché tanti morti?
Durante la prima ondata si sottolineava che l’Italia soffriva di più in termini di morti perché era stata la prima in Europa ad essere travolta dall’epidemia, con ospedali e Rsa impreparati. Questo aveva consentito agli altri Paesi europei di prepararsi con almeno dieci giorni di anticipo. Ma la stessa motivazione non può valere per la seconda ondata, dove l’Italia è stata travolta per ultima.
La questione “sociale”, ossia il ruolo degli anziani come welfare supplementare (per esempio nel tenere i nipoti), ma anche l’abitudine alle interazioni, allo “stare insieme”, ha sicuramente un peso rispetto ai Paesi del Nord Europa, ma non in riferimento alle nazioni con abitudini culturali più simili alle nostre dove la letalità resta comunque inferiore. Come fa notare l’Ansa, l’aspetto demografico, che ci vede come il Paese più anziano d’Europa, ha un ruolo, ma non può bastare a spiegare il gap con Paesi anziani quasi quanto il nostro.
L’unico elemento che può spiegare solo in parte questo fenomeno è un problema di sottostima dei casi reali. L’analisi dell’Ansa mette in evidenza che a marzo il nostro Paese ha registrato circa mille decessi al giorno a fronte di 6mila positivi e 20mila tamponi al giorno. Al picco di mortalità della seconda ondata, a novembre, siamo tornati a quasi mille morti giornalieri, ma con vette di 35-40mila casi quotidiani e 200mila tamponi.
Indice evidente che durante la prima ondata venivano “pescati” pochissimi casi rispetto a quelli reali: non a caso nella prima fase i decessi, che furono oltre 35mila, erano
addirittura l’11 per cento dei casi rilevati (che pero’ realisticamente erano almeno dieci volte di più), mentre le 45mila vittime di questa seconda ondata sono meno del 2% del totale dei casi. Una questione di denominatore, in sostanza. Ma che non basta da sola
a spiegare il bilancio nero di oggi.
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