Quali sono i numeri reali dei positivi giornalieri a Rieti e provincia? Quelli riportati dai bollettini della Asl si riferiscono all’arco di 24 ore? E soprattutto come mai i tempi di attesa per la risposta ad un tampone sono così lunghi? È di lunedì la nota dove la direzione aziendale informa che “sono stati processati tutti i tamponi presenti presso il laboratorio analisi dell’ospedale De’ Lellis di Rieti. Dal 6 novembre, quando è stato installato il secondo estrattore molecolare per la ricerca dell’RNA virale nel tampone nasofaringeo, sono stati analizzati 1.221 tamponi”.
A questo punto è lecito domandarsi e domandare, sul totale dei tamponi analizzati, quale sia il numero di quelli risultati positivi, senza alcun secondo fine, ma solo per capire e far capire ai cittadini quale sia la situazione attuale con Rieti che si avvicina, alcuni dicono l’abbia già superato, ad un Rt pari a 1,5. A domanda: “Degli oltre mille tamponi processati tra sabato e domenica si potrebbe conoscere la percentuale di positivi?”, l’ufficio comunicazione della Asl risponde: “Non è possibile, comunque quei positivi sono formalizzati, come tutti gli altri, nei bollettini sanitari”.
Quindi il dubbio sulla comunicazione dei positivi rimane. Come viene spalmato il totale? Un po’ per giorno? E dei nuovi tamponi eseguiti al drive-in nei giorni successivi quando si conoscerà l’esito? Come mai il bollettino di lunedì riportava 13 bambini della scuola primaria di Stimigliano positivi quando in realtà era dal 29 ottobre scorso che cittadini e sindaco erano stati già avvertiti? Ieri tra i decessi riportati dalla nota della direzione generale, risulta una 72enne ricoverata in Terapia Intensiva al De’ Lellis “affetta – si legge – da comorbilità”. Sembra però che la donna non sia morta ieri ma il 7 novembre come ha tenuto a precisare la figlia con un post su Facebook aggiungendo che “a parte la pasticca per la pressione mia madre non aveva comorbilità. Soffriva di fibromialgia che, mi hanno detto, non compromette il sistema immunitario. Si muore a causa del Covid”.
E mentre i cittadini continuano ad attendere risposte che non arrivano, anche da oltre dieci giorni, con intere famiglie “bloccate” a casa in una quarantena che in realtà si sono autoimposte solo per tutelare parenti, amici e colleghi, i numeri non tornano, con tamponi analizzati ma esiti che sembrano volatilizzarsi visto che, ascoltando la testimonianza di tanti reatini e leggendo il loro sfogo sui social, c’è chi aspetta ormai anche da una settimana il risultato. Sul sito on line della Asl non appare alcun referto e se si chiamano i numeri preposti a fornire indicazioni risponde sempre la voce registrata che ripete “al momento gli operatori sono tutti occupati”.
A porsi qualche domanda non sono soltanto i cittadini e le associazioni che si occupano di sanità, ma anche l’associazione “NOME Officina Politica”, che da marzo scorso ha monitorato i dati della provincia di Rieti, raccogliendo e raffrontando quelli resi noti dalla Asl e quelli riportati da Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, Ministero della salute e Protezione Civile. “Il periodo di tempo che intercorre fra il contagio e il bollettino – spiegano da NOME – passa attraverso le fasi temporali: lo sviluppo dei sintomi clinici, la prescrizione ed esecuzione del tampone, l’elaborazione del tampone e l’ufficializzazione dei positivi. Ma se si vanno a raffrontare i tamponi giornalieri effettuati ai contagi giornalieri comunicati, si ottiene una stima di sfasamento tra i 5 e i 7 giorni tra la esecuzione del tampone e l’ufficializzazione del dato e tutto ciò comporta e porta notevoli disagi e possibilità di contagio tra la popolazione”.
“E’ evidente – scrivono nel report – che i dati non vengono ‘caricati’ regolarmente; in alcuni casi sono rimasti fermi per giorni, ma più spesso si muovono in maniera scollegata dalle comunicazioni Asl. Le informazioni ufficiali fotografano una situazione di contagio riferita ad almeno 3 settimane prima, con una sottostima consistente del numero di casi rispetto a quanto comunicato dalla Asl di Rieti. E se non si hanno dati di partenza affidabili, il rischio è sbagliare i tempi di organizzazione ed intervento”. Esattamente ciò che sta accadendo in queste ore, con la direzione aziendale che sta cercando soluzioni per arrivare agli 85 posti letto per pazienti Covid richiesti per Rieti dal decreto firmato il 5 novembre scorso dal presidente Nicola Zingaretti.
Non bastano più i letti in terapia intensiva, malattie infettive e Covid 1 e 2 del De’ Lellis. La corsa contro il tempo porterebbe a guardare sempre più come unica soluzione il trasferimento di alcuni reparti non Covid all’ospedale di Magliano Sabina. In attesa di una decisione, le autoambulanze del 118 continuano a correre per la città con i lampeggianti accesi e a sostare, per ore, sotto la pensilina a fianco dell’ingresso al pronto soccorso, in attesa che venga registrata l’accettazione del paziente che hanno a bordo.
In un momento così difficile sarebbe opportuno lavorare fianco a fianco per non fare sentire soli medici, infermieri ed operatori sanitari che affrontano ogni turno con la stanchezza che non va più via e la paura di ammalarsi. Ieri è arrivata la notizia di un primario risultato positivo, con l’azienda che non ha ancora deciso se sottoporrà a tampone colleghi ed operatori. Stesso dicasi per il caso di una dipendente positiva e i colleghi di stanza che da dieci giorni attendono di essere chiamati per sottoporsi a tampone. E ancora quanto accaduto in un’azienda privata dove un dipendente è risultato positivo e lo ha immediatamente comunicato alla Asl, aggiungendo che era stato a contatto diretto con altri colleghi. Nessuno di loro è stato né contattato, né chiamato per il tampone.
Stesso dicasi in ospedale, dove queste situazioni si verificano praticamente ogni giorno, anche se ieri al drive in allestito per il personale interno sembra siano stati chiamati alcuni operatori venuti a contatto con colleghi positivi. Ma prima che ciò accada, se accade, passa almeno una settimana, creando così possibili focolai all’interno di quello che dovrebbe essere il luogo più sicuro per tutti. Ma il personale va avanti, non si ferma. Lo si vede dai segni che hanno sul volto infermieri e medici, perché devono portare i Dpi in turni lunghissimi e perché non ci sono più cambi e manca il personale.
E senti anche la voce affannata di un medico che ti dice: “Scusami ma mi stavo svestendo, non ne posso più, mi sarà vestito cinquanta volte, non riesco più a respirare credimi”. Ma è un attimo. Perché sa che, appena finito di parlare, tornerà ad indossare una nuova tuta, i guanti, la cuffia, la mascherina, gli occhiali e lo schermo per tornare di corsa al pronto soccorso dove c’è un altro paziente in attesa. L’ennesimo.
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