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    Esclusivo TPI: La lettera degli infermieri all’ospedale di Rieti: “Qui turni massacranti e reparti Covid improvvisati”

    La lettera del personale infermieristico dell'ospedale De' Lellis di Rieti
    Di Paola Corradini
    Pubblicato il 25 Nov. 2020 alle 07:14 Aggiornato il 25 Nov. 2020 alle 08:36

    All’ospedale De’ Lellis di Rieti sembra che da qualche tempo ci si diletti con il gioco delle tre carte. Ma il problema è che si parla di pazienti Covid e non, di personale medico e infermieristico allo stremo e di reparti smembrati per fare posto ai ricoveri. A rendere ancora più critica una situazione che di chiaro ha ben poco arriva la notizia che gli interventi di Chirurgia Complessa saranno trasferiti al Villa Tiberia Hospital di Roma mentre gli ambulatoriali a Magliano Sabina. Villa Tiberia ha un passato caratterizzato da denunce, dichiarazioni di insolvenza e truffe che anni fa hanno portato all’amministrazione straordinaria, mentre il De’ Lellis sta diventando un ospedale Covid con una serie di problematiche che ora anche personale e sindacati iniziano a segnalare.

    Una lettera interna del personale infermieristico indirizzata alla coordinatrice del blocco operatorio e ai medici competenti, che noi di TPI possiamo mostrarvi in esclusiva, parla chiaro. Gli infermieri scrivono per segnalare criticità nei servizi che si trovano a coprire: sala operatoria urgenza ed emergenza, terapia intensiva no Covid, urgenze rianimatorie nei reparti e terapia intensiva Covid. “Come personale – si legge nella lettera – chiediamo esclusivamente di lavorare in sicurezza dando, come sempre, la nostra completa disponibilità per fronteggiare la pandemia in corso o qualsiasi situazione di necessità”. La prima richiesta riguarda “chiarezza nelle direttive con comunicazioni scritte cui si aggiungono percorsi e protocolli definiti per iscritto e infine tutela dei lavoratori e della loro sicurezza”.

    “Senza nessuna comunicazione ufficiale al personale coinvolto – prosegue la lettera – le sale 7 e 8 del blocco operatorio oculistico, diventano operative come rianimazione Covid + ma la sala operatoria non è strutturalmente concepita come una terapia intensiva Covid, quindi con dei percorsi sporco-pulito definiti e separati; manca un box per il monitoraggio dei pazienti isolato dal resto della sala. Quello presente è all’interno della zona contaminata e non ha una via entrata/uscita verso l’esterno e quindi verso il pulito”.

    Quindi gli operatori, come scritto nella lettera, “sono costretti a rimanere all’interno della zona contaminata per monitorare il paziente indossando i DPI previsti per l’assistenza ai Covid: tuta, occhiali, mascherina, calzari e visiera. Il tempo di permanenza così vestiti all’interno di una zona infetta diventa, oltre che difficoltoso, estremamente prolungato, così il turn-over è elevato e porta a un notevole dispendio di presidi per tutti i cambi”.

    La carenza di infermieri porta il personale che sopperisce alle esigenze della sala Covid a dover garantire tutti gli altri servizi oltre che le sedute ordinarie e le reperibilità, “cosa che andrebbe rivista per suddividere il carico di lavoro”. “Ne consegue – viene specificato nelle lettera – che in caso di emergenze o urgenze chirurgiche indifferibili accade ciò che si è già verificato tra il pomeriggio del 7 novembre e la notte dell’8 novembre con un’urgenza vascolare indifferibile, due pazienti in rianimazione no Covid e il trasferimento di un paziente Covid in sala 7”. Il risultato è stato: coordinatrice  irreperibile, assenza di procedure e protocolli per l’organizzazione sia del personale da impiegare sia degli spazi utilizzati; assenza di percorsi scritti per la rianimazione Covid e per le sale operatorie Covid interne al blocco chirurgico; si allestisce la “stanza” sguarnendo le sale operatorie in quanto molti elettromedicali sono necessari anche in corso di intervento chirurgico e durante l’allestimento si evince più chiaramente come non esistano percorsi o come non siano idonei; il paziente Covid muore in sala 7 e la gestione della salma viene effettuata senza procedura scritta.

    “Pertanto – scrive il personale – chiediamo alla coordinatrice Rossana Maini, in quanto responsabile dell’organizzazione del B.O, e considerando che le criticità persistono, procedure e protocolli scritti per la gestione delle sale e della Rianimazione Covid, un’equa e sensata suddivisione dei compiti fra il personale infermieristico senza lasciare al libero arbitrio e al buon senso la scelta oltre al potenziamento del turn-over infermieristico per garantire tutte le attività di emergenza e un’adeguata assistenza ai pazienti”. La lettera si chiude ribadendo “la completa disponibilità alla collaborazione in un momento così difficile”.

    Guarda caso il giorno successivo alla lettera arriva la nota del dirigente del personale di assistenza infermieristica, dottor Falchetti, per la rimodulazione della programmazione assistenziale “assicurando, in maniera flessibile, l’integrazione delle equipe impegnate nelle attività di terapia intensiva”. Pronta la risposta del segretario della UIL FPL, Domenico Teodori, che sottolinea, in una nota interna, come “la tempistica della nota del dottor Falchetti e le risposte alle richieste del personale hanno generato negli operatori la consapevolezza di una gestione approssimativa dell’emergenza dovuta alla mancanza di una programmazione pregressa che avrebbe dovuto evitare questa situazione e senza prospettive di un miglioramento nel prossimo futuro. Dopo la prima ondata e in prospettiva di una seconda crisi doveva essere prevista la formazione di personale per i reparti di rianimazione, ma tutto ciò non è avvenuto ed ora si cerca di porre rimedio con personale non formato e a volte neo assunto o, peggio ancora con personale dell’area critica, facendo passare il messaggio che infermiere di rianimazione e di sala operatoria sono la stessa cosa”.

    Il sopracitato gioco delle tre carte. Mentre i pazienti chiusi nella bolla o parcheggiati nel percorso febbre su una lettiga, inviano messaggi ad amici e parenti scrivendo “qui è bruttissimo, altro che organizzazione. Pessimo, sporco. L’unica cosa positiva è la buona volontà degli infermieri”.

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