Il 57,8 per cento degli italiani (il 64,7 per cento tra gli under34) è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su che cosa è possibile fare, sulle persone che si possono incontrare.
E il 38,5 per cento (il 44,6 per cento di chi ha tra 18 e 34 anni) è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, introducendo limiti al diritto di sciopero e alla libertà di opinione. È quanto emerge dal 54esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese nella parte che indaga sulle “scorie” dell’epidemia di Covid 19, prima tra tutte – sottolineano i ricercatori dell’istituto – “la propensione a rinunciare volontariamente alla solitamente apprezzatissima libertà personale”.
E’ un Paese “spaventato, dolente, indeciso tra risentimento e speranza” quello così tragicamente segnato dalla pandemia: il 73,4 per cento del campione indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente in famiglia e il 77 per cento ammette di aver visto modificarsi in questi mesi in modo permanente almeno una dimensione fondamentale della propria esistenza: la salute, il lavoro, le relazioni interpersonali, il tempo libero.
Che anno è il 2020
Nel 2017 c’era l’Italia del rancore, nonostante il Paese vivesse una fase di ripresa, con la politica che inseguiva i like; il 2018 era l’anno di un’Italia resa cattiva dal sovranismo e che aveva nel migrante il capro espiatorio; il 2019 invece l’anno di un’Italia incerta, vittima della sfiducia. E questo 2020? Per il Censis nessun dubbio nel suo 54^ Rapporto sulla situazione sociale del Paese: è l’anno della paura nera, l’anno in cui il Covid, un virus vero, sembra aver addirittura innescato una paura più generale, quella per e del futuro, costringendo gli italiani in un tunnel da cui ancora non si riesce a vedere la luce, a dispetto delle rassicurazioni che piovono ogni giorno.
Una paura che ha quasi ‘convinto’ gli italiani a ritenere che sia meglio essere sudditi che morti, ovvero accettare una vita a sovranità limitata, ad autonomia limitata. E non è detto che questa paura non muti in rabbia, incontrollabile. Ma può anche essere – possibile spiraglio – che questo ‘sisma’ finisca con il costringere il Paese a dotarsi di un progetto collettivo che spazzi via quella soggettività egoistica e proterva in cui per decenni gli italiani hanno creduto e a cui si sono consegnati prigionieri.
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