“In questa seconda ondata siamo messi peggio di marzo”, è l’allarme che lancia in audizione alla Commissione Sanità del Senato da Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. “C’è un coinvolgimento del centro sud, che ha servizi sanitari più fragili, abbiamo di fronte 4-5 mesi di inverno, c’è la pressione data dall’epidemia influenzale, il personale sanitario è meno motivato e ci sono attriti tra governo e enti locali che impediscono di prendere le misure più opportune”. Secondo il presidente Cartabellotta il sistema è in ritardo nella risposta al virus: “Passano 15 giorni tra il contagio e la notifica dei casi, c’è inoltre un ritardo in molte regioni sulla notifica delle diagnosi”.
Secondo il presidente di Fondazione Gimbe, il sistema italiano sta rispondendo in ritardo rispetto alla curva di crescita del virus. “Siamo in ritardo sull’evoluzione del virus, passano 15 giorni tra il contagio e la notifica dei casi, c’è inoltre un ritardo in molte regioni sulla notifica delle diagnosi. L’indice Rt non può essere utilizzato da solo per decidere le misure, perché è in ritardo e può essere sottostimato, deve essere valutato insieme ad altri parametri”, ha sottolineato Cartabellotta. “Inoltre siamo in ritardo con i Dpcm, stiamo andando verso il lockdown totale perché non siamo in grado di valutare gli effetti delle misure introdotte con i vari decreti”, ha spiegato ancora. “Bisogna notare che anche un lockdown totale da solo permette di ottenere una riduzione del 50% dei casi al ventottesimo giorno”, ha poi specificato l’esperto.
Un altro tema, ha detto Cartabellotta, riguarda l’accesso ai dati legati alla pandemia, per cui è necessaria maggiore trasparenza. “La legge assegna all’Iss la sorveglianza utilizzando una piattaforma che è ad accesso riservato, i ricercatori indipendenti non possono fare nessuna ricerca ulteriore”, ha detto. “L’altro aspetto è il monitoraggio degli indicatori del 30 aprile 2020, il report non è pubblico, periodicamente emerge attraverso organi di stampa ma è riservato”, ha segnalato il numero uno di Gimbe. “Riteniamo che rispetto al report è opportuno che vengano resi pubblici i contagi per comune, mentre ora li abbiamo solo per provincia. Inoltre, si dovrebbe rendere accessibile il database in formato open data, mentre per il monitoraggio della fase 2 si dovrebbero rendere pubblici i report e i database in formato open data”, così da esplicitare e rendere riproducibili “i criteri per l’attribuzione del livello di rischio”, ha concluso.
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