Nuova variante del virus che provoca il Covid: cosa sappiamo finora
La scoperta di una nuova variante del virus che provoca il Covid-19, avvenuta nel Regno Unito, ha portato ieri alla decisione da parte del ministro della Salute Roberto Speranza di interrompere i voli dal Paese verso l’Italia fino al 6 gennaio e di sottoporre al tampone chi è rientrato nel nostro Paese da Inghilterra e Irlanda del Nord negli ultimi 14 giorni. Nelle ore successive, anche in Italia è emerso un primo caso legato a questa variante: si tratta di una donna asintomatica rientrata dal Regno Unito, che risulta avere un’elevata carica virale.
Quella scoperta in Gran Bretagna non è la prima mutazione del Coronavirus individuata nel mondo, ma ha destato particolare allarme perché sembra legata a una maggiore capacità di diffusione del patogeno. Gli studi in proposito sono a livello iniziale e contengono quindi informazioni ancora incerte, che andranno approfondite nei prossimi mesi. Ma ecco alcune domande e risposte che fanno il punto su quanto emerso finora a proposito della nuova variante.
Dove e quando è nata la nuova variante?
La variante è stata oggetto di uno studio pubblicato lo scorso 19 dicembre da alcune università britanniche. La mutazione è stata individuata per la prima volta a settembre 2020, e gli scienziati sono al lavoro per studiarla da mesi. Il genetista Federico Giorgi, che lavora all’Università di Bologna ed è co-autore di uno studio specifico sul caso, ha detto al Fatto Quotidiano che “si sta studiando questa mutazione del Sars-Cov2 da ottobre” e che questa “circolava già in Usa e Australia, oltre che nel Regno Unito”.
Quanto si è diffusa finora?
Come riporta la Bbc, a novembre circa un quarto dei casi di Covid a Londra erano riconducibili alla nuova variante del virus. Il dato ha raggiunto quasi i due terzi a metà dicembre. In alcuni centri di analisi, come il Milton Keynes Lighthouse Laboratory, la variante è diventata quella dominante sul numero totale di positivi, come mostra il seguente grafico.
MK LHL testing data showing increasing prevalence of H69/V70 variant in positive test data – which is detected incidentally by the commonly used 3-gene PCR test. pic.twitter.com/1U0pVR9Bhs
— Tony Cox (@The_Soup_Dragon) December 19, 2020
Con che velocità si è diffusa?
Il direttore medico del governo britannico Chris Whitty ha dichiarato in conferenza stampa accanto al premier britannico Boris Johnson che il nuovo ceppo può diffondersi fino al 70 per cento più velocemente rispetto alla forma già nota di virus, aggiungendo che questo potrebbe provocare un aumento dell’Rt, l’indice di trasmissibilità, dello 0,4 per cento.
Perché la nuova variante sta destando preoccupazione?
È proprio la velocità di trasmissione il dato che spaventa gli scienziati. Il coordinatore del Comitato tecnico scientifico (Cts) in Italia, Agostino Miozzo, ha dichiarato: “Dobbiamo mantenere rigorosamente attive quelle dinamiche di controllo della trasmissione del virus che abbiamo messo in atto. Dovremo essere ancora più rigorosi – ha osservato – perché la possibilità di aumentare del 70 per cento il contagio diventa per noi un vero problema”.
“Se è vero che la variante determina una maggiore diffusione, la conseguenza sarà all’inizio un aumento di contagi, poi di ricoveri in terapia intensiva e infine di morti”, ha detto Massimo Antonelli, direttore della rianimazione del Policlinico Gemelli e componente del Comitato tecnico scientifico. “Ci sarebbe un ulteriore pressione sugli ospedali”.
La nuova variante del virus è più “potente”?
Dal punto di vista della virulenza, cioè della “potenza” del virus, per il momento gli scienziati non hanno riscontrato alcun elemento di allerta. “Finora non si è verificata alcuna alterazione preoccupante della virulenza, ma bisogna mantenere alta l’attenzione”, ha sottolineato stamattina la direzione sanitaria dello Spallanzani di Roma, nel cui laboratorio di virologia è in corso la caratterizzazione delle positività riscontrate nei viaggiatori provenienti dall’Inghilterra.
La letalità della mutazione è cambiata?
Neanche sulla letalità, come sulla virulenza, sono emersi finora segni di preoccupazione. “Quello che si sa da parte della scienza è che la variante inglese è molto veloce, però non è più letale, e questa è già una importante informazione”, ha dichiarato il coordinatore del Cts Agostino Miozzo.
Ci sono dei precedenti?
Sì, esistono già diverse mutazioni del virus, che si sono sviluppate nell’arco della pandemia, portando all’avvicendarsi dei ceppi predominanti in vari periodi e in vari territori. Ad esempio, subito dopo l’estate, il ceppo predominante in Europa, compresa l’Italia, è stata una variante probabilmente introdotta dalla Spagna. Come ha chiarito la direzione sanitaria dello Spallanzani, “è verosimile che in futuro si possano verificare altre varianti che vanno sorvegliate con attenzione per verificare i cambiamenti di rilievo”.
L’epidemiologo Massimo Ciccozzi, responsabile dell’unità di Statistica medica ed epidemiologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, ha usato in proposito toni rassicuranti: “Non dobbiamo avere paura delle mutazioni. È attraverso le mutazioni che si favorisce l’adattamento del virus all’uomo. E questa che arriva dalla Gran Bretagna non è la prima”.
Il Regno Unito ha davvero nascosto i dati?
Dopo la notizia della diffusione della variante del virus, è circolata la tesi secondo cui il Regno Unito avrebbe tenuto per sé i dati relativi alla mutazione troppo a lungo. “Siamo rammaricati che il governo inglese ci abbia avvertito solo ora”, ha dichiarato Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute. “I colleghi del Regno Unito ci dicono che la mutazione non avrà ripercussioni sulla vaccinazione, ma è vero che causa una contagiosità quasi doppia”.
Contro questa teoria si è schierato invece il presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli, secondo il quale si tratta di una tesi “non accreditabile”. “È chiaro – ha spiegato Locatelli – che quando emergono dei mutanti dal ceppo originale poi la definizione del loro ruolo è strettamente legata alla loro capacità di diffondersi. A mio parere è stata straordinariamente tempestiva la decisione adottata ieri dal ministro Speranza di chiudere immediatamente i voli dal Regno Unito”.
La nuova variante può falsare l’esito dei tamponi?
Il rischio che la nuova variante del Covid scoperta nel Regno Unito possa “falsare l’esito dei tamponi” è reale secondo l’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che in una nota ha commentato i primi studi effettuati sulla mutazione del virus. L’Oms ha infatti dichiarato che secondo “informazioni preliminari” la mutazione può influenzare le prestazioni di alcuni test diagnostici. Secondo il genetista Federico Giorgi: “Il test molecolare si basa sul riconoscimento del Rna del virus. Quindi una singola mutazione può cambiare l’esito del test. Per questo bisogna aggiornarli continuamente in base alle mutazioni individuate”.
Il vaccino anti-Covid funzionerà anche contro questa variante?
Gli esperti sono finora concordi nel ritenere che sia “altamente improbabile” che questa nuova variante possa essere resistente al vaccino. Si tratta ovviamente di una buona notizia, perché consentirebbe di utilizzare con maggiore sicurezza i vaccini per contrastare la pandemia.
“I vaccini determinano la formazione di una risposta immunitaria contro diversi ‘pezzettini’, chiamiamoli così, della proteina spike”, ha dichiarato Franco Locatelli (Css). “Se anche c’è una mutazione in uno, due o tre ‘pezzettini’ della proteina spike, è altamente improbabile che il vaccino possa risultare inefficace”.
Sulla stessa linea anche il professor Giorgio Palù, virologo dell’università di Padova e presidente dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco. “La proteina spike è costituita da 1.250 mattoncini, gli amminoacidi”, ha spiegato, “e la mutazione rappresenta un solo mattoncino. In genere non basta a rendere inefficace un vaccino”.
Il professor Massimo Galli, del Sacco di Milano, non dà certezze ma si dice ottimista: “Davanti alla mutazione del genoma di un virus nessuno può dire con certezza se i vaccini appena scoperti saranno utili oppure no, ma stavolta dico – con il beneficio del dubbio – che sono moderatamente ottimista” e “ci sono buone possibilità che la profilassi in arrivo proteggerà anche dal ceppo inglese”.
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