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    Ecco cosa accadde quel maledetto 23 febbraio 2020 all’ospedale di Alzano: così Bergamo divenne il lazzaretto d’Italia

    Credit: Fabio Bucciarelli/The New York Times

    Il 23 febbraio 2020 all’ospedale di Alzano Lombardo c’erano già decine di positivi ma solo 4 tamponi a disposizione. Nonostante l’alto rischio di contagi, l’Asst vietò di trasferire i casi sospetti in presidi più attrezzati. E il Pronto Soccorso fu chiuso ma inspiegabilmente riaperto tre ore dopo. Senza sanificazione

    Di Francesca Nava
    Pubblicato il 10 Giu. 2022 alle 09:16 Aggiornato il 10 Giu. 2022 alle 09:24

    Il 22 febbraio 2020, il giorno prima della scoperta dei primi casi Covid della bergamasca, all’ospedale di Alzano Lombardo ci sono tre pazienti ricoverati con casco Cpap e altre decine di persone in insufficienza respiratoria. I caschi a ventilazione meccanica sono pochi. Il personale medico scarseggia. Molti dipendenti si ammalano. Oggi sappiamo che il giorno successivo, il 23 febbraio, ad Alzano, a fronte di soli due casi diagnosticati, ci sono in realtà già oltre un’ottantina di persone infette, tra pazienti (quasi tutti nei reparti di medicina) e operatori sanitari (il 10% del totale). L’ospedale si trasforma velocemente in un lazzaretto. «Sembrava un girone dantesco», racconta il dottor Marzulli. Ma né Ats né Regione Lombardia – queste le denunce che abbiamo raccolto dal personale medico e infermieristico dell’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano – forniscono in quei giorni indicazioni sulla gestione e il trattamento clinico dei pazienti positivi. La mancanza di indirizzo è totale.

    L’inizio del focolaio

    Il 23 febbraio il Pronto Soccorso viene chiuso e riaperto dopo poche ore senza essere correttamente sanificato (a parte la shock room), come riferito alla sottoscritta dall’addetta alle pulizie di turno quel giorno. Nella sala d’attesa rimangono fino a sera alcuni utenti, che nonostante l’allarme – come ci racconta l’infermiera di turno il 23 febbraio – decidono di non uscire dal Pronto Soccorso. Alle ore 20.46 nella chat WhatsApp dei dipendenti del Pesenti Fenaroli di Alzano viene inviato questo messaggio: «Pronto Soccorso riaperto. Si riprende la normale turnazione. Che nessuno diffonda alcun dato di pazienti. In nessun modo siete autorizzati a diffonderli. Chi non si attiene all’indicazione se ne assumerà eventuali conseguenze».

    Il presidente lombardo, Attilio Fontana, dichiara in Commissione regionale d’inchiesta che viene «a conoscenza di questo fatto (il focolaio di Alzano, ndr) solo due o tre giorni dopo che esso era già avvenuto». Perché nessuno in Regione Lombardia e nemmeno l’ex assessore al Welfare, Giulio Gallera (che apprende dei casi di Alzano il 23 febbraio, come riferisce lui stesso nel suo ultimo libro), sente il bisogno di condividere questa importante notizia con il presidente Fontana? Mistero.

    Impiegati, medici e infermieri dell’ospedale di Alzano Lombardo si ammalano a grappolo a partire dal 23 febbraio: non ci sono tamponi per fare le diagnosi a tutti. Le indicazioni regionali sono scarne, confuse e contraddittorie. L’ospedale Pesenti Fenaroli non ha un reparto di malattie infettive, né una terapia intensiva. Nei primi giorni, la direzione sanitaria di Seriate vieta di trasferire pazienti sospetti Covid in altri presidi ospedalieri più attrezzati, prima dell’esito del tampone. Questa indicazione della Asst Bergamo Est crea per giorni un affollamento di pazienti sospetti Covid in tutti i reparti dell’ospedale e anche nel Pronto Soccorso, dove le persone ricoverate arrivano a sostare anche per 48-72 ore, come denuncia un’infermiera e anche il direttore medico Giuseppe Marzulli in una email disperata del 25 febbraio, pubblicata in esclusiva da TPI e nella quale Marzulli definisce questa indicazione «assurda (ed uso un eufemismo)» aggiungendo che «è evidente che in queste condizioni il Pronto Soccorso di Alzano non può rimanere aperto».

    Sorveglianza impossibile

    Al Pesenti Fenaroli il 23 febbraio ci sono solo 4 tamponi, ne porterà una dozzina a mano il dottor Marzulli quella domenica sera. Un numero ridicolo per fare anche solo un primo tracciamento epidemiologico. «La Lombardia non aveva i tamponi il problema è che la diagnosi Covid non si fa solo con il tampone, anche la Tac, in combinazione con il quadro clinico e la situazione epidemiologica, avrebbe fornito un elemento importantissimo per fare una diagnosi presuntiva. Su questo non ci sono dubbi», spiega Andrea Crisanti, il microbiologo consulente tecnico della Procura di Bergamo che indaga sull’ipotesi di epidemia colposa. Ciò significa che è mancata la fotografia del contagio.

    L’unico medico del lavoro dell’Asst Bergamo Est (a cui fa capo l’ospedale di Alzano), Marino Signori – deceduto per Covid l’1 aprile 2020 – scrive un’email urgente alla direzione di Seriate alle ore 7.56 del 25 febbraio, dicendo: «Non posso fare sorveglianza sanitaria, come previsto dalle indicazioni, in quanto sprovvisto di tamponi», supplicandone l’invio di «un numero adeguato al più presto», dal momento che «ad ora ho 80 dipendenti contatto dei casi di Alzano». Nei giorni successivi i tamponi arrivano con il contagocce all’ospedale di Alzano. Fino al primo marzo la media è di 7/8 tamponi al giorno.

    Il 7 marzo alle 15.49 anche il direttore generale dell’Asst Bergamo Est, Francesco Locati (indagato dalla Procura di Bergamo con l’ipotesi di reato di epidemia colposa e falso), scrive alla Regione, lamentando «non sommessamente» la carenza di tamponi e «la costante sottostima del fabbisogno di Dpi di questa Azienda» e «del materiale ordinato da Aria Spa», la centrale acquisti lombarda, aggiungendo che «se non cambierà tempestivamente la lista di distribuzione, riconoscendo il vero, reale fabbisogno di questa Asst per garantire la continuità di cura, non oso pensare ai profili di responsabilità nei confronti dell’epidemia in corso».

    Su questo punto Regione Lombardia si difende così in Commissione d’inchiesta: «Si smentisce totalmente la ricostruzione in base alla quale il direttore della Asst di Bergamo avrebbe lamentato iniquità nella fornitura di tamponi», dichiara l’ex assessore Gallera. «È vero che in un primo momento egli inviò una lettera lamentando delle criticità a riguardo, ma successivamente, quando gli si rispose facendogli notare che le sue lamentele facevano riferimento ad un momento antecedente a quello in cui la Regione fu divisa in zone rosse e bianche, costituenti il nuovo criterio di distribuzione dei tamponi tra le diverse zone della Regione, egli, preso atto di questa risposta ed accortosi che le sue doglianze si riferivano, in effetti, ad una situazione ormai superata, si scusò per le sue lamentele, riconoscendo che Regione Lombardia stava affermando il vero. La distribuzione dei tamponi avvenne sempre – si dice – in misura proporzionata alla gravità del contagio esistente in ogni singola Ats».

    Tuttavia le «scuse» di Locati non sono documentate e la realtà appare molto diversa da quella descritta dall’ex assessore Gallera, come dimostrano le decine di testimonianze sul mancato tracciamento epidemiologico pubblicate tra febbraio e maggio 2020 dalla stampa locale e nazionale. Non solo: Locati in questa circostanza emerge come l’esempio plastico di quella «interdipendenza fortissima fra nominante e nominato» denunciata dalle opposizioni regionali nelle relazioni finali della Commissione d’inchiesta Covid.

    Nomine politiche

    Francesco Locati, bergamasco, viene nominato direttore generale della Asst Bergamo est nel gennaio 2016, durante la Giunta Maroni. Il potere della Lega nel gioco di poltrone della sanità lombarda viene rivelato per pura casualità, come raccontato da Gianni Barbacetto ed Elisabetta Reguitti su Il Fatto Quotidiano il 14 gennaio del 2016: la lottizzazione dei manager sanitari per appartenenza politica sarebbe stata infatti autodenunciata nel 2016 per un errore dell’Arca Lombardia, la centrale acquisti della Regione (dal 2019 confluita nell’Agenzia Aria), che pubblica sul proprio sito una cartina con i nomi prescelti e il simbolo del partito di appartenenza, inviandola poi via email all’indirizzario della Regione. L’Arca smentisce inviando una rettifica in cui spiega che la cartina è «un’artificiosa ricostruzione giornalistica» e – come riferisce l’articolo de Il Fatto Quotidiano – oscura la pagina a tempo di record.

    La realtà sembra però confermare questa spartizione: nel 2016 il governatore è il leghista Roberto Maroni e dei 35 direttori generali 13 sono in quota Lega, 11 con Forza Italia, 10 con il Nuovo Centrodestra, uno con Fratelli d’Italia. Nel 2018 il nuovo governatore, il leghista Attilio Fontana, ex sindaco di Varese, sceglie 24 dirigenti sanitari della Lega, 14 di Forza Italia, due di Fratelli d’Italia. Francesco Locati, in quota Lega, viene sempre riconfermato.

    Versioni contrastanti

    Ma un’altra grande criticità – all’epoca della prima ondata Covid – è anche l’analisi dei tamponi. In Lombardia in quella fase ci sono solo tre laboratori virologici. «Dovevamo tamponare almeno 600 persone subito», fa sapere il dottor Marzulli. Eppure, l’ex assessore Gallera, audito in Commissione regionale d’inchiesta il 19 aprile 2021 afferma che «ad Alzano, così come a Codogno, così come in altri presidi, i primi giorni (a ridosso del 23 febbraio 2020, ndr) si fanno i tamponi a tutto il personale ospedaliero, perché noi all’inizio facciamo i tamponi e fermiamo addirittura le persone che avevano finito il loro turno per fargli i tamponi e non li si manda a casa finché non c’è risultato».

    Una dichiarazione che fa a pugni con la realtà, con le testimonianze e i documenti raccolti dalla Procura di Bergamo, che ha indagato per falso (oltre che per epidemia colposa) il direttore generale e il direttore sanitario della Asst Bergamo Est, rispettivamente Francesco Locati e Roberto Cosentina, in merito proprio alle note e alle relazioni che i due dirigenti hanno fornito rispetto all’azione di sanificazione e di tracciamento epidemiologico all’interno dell’ospedale di Alzano. Sono moltissimi i medici e gli infermieri che ci hanno riferito di essere stati sottoposti a tampone solo 10-15 giorni dopo la comparsa dei primi sintomi.

    La mattina del 23 febbraio si tiene un vertice strategico a Seriate, presso la sede dell’Asst Bergamo Est. Sono presenti tutti i vertici dell’azienda socio-sanitaria a cui fa capo l’ospedale di Alzano, ma nessuno di Ats Bergamo, l’ente pubblico incaricato di fare sorveglianza epidemiologica. In quelle ore emerge chiaramente la consapevolezza che all’interno dei reparti di chirurgia e di medicina vi siano pazienti già positivi al Covid-19, mentre si è in attesa di conoscere l’esito del tampone sul paziente ricoverato in Pronto Soccorso. Dalla Regione arriva l’ordine (impartito oralmente per via telefonica, mai messo per iscritto) di riaprire il Pronto Soccorso – lo riferisce il dottor Marzulli – dopo una breve chiusura di tre ore e dopo una sanificazione sommaria, come confermato anche dalle prime indagini della Procura di Bergamo.

    La decisione di riaprire il Pronto Soccorso, a cui il direttore medico Marzulli si oppone, viene presa sebbene dentro all’ospedale di Alzano ci siano solo 4 tamponi e già un certo numero di casi Covid ricoverati da giorni. Gallera in Commissione regionale d’inchiesta smentisce la versione di Marzulli: «Sull’ospedale di Alzano si sottolinea con forza che non c’è stata alcuna indicazione regionale in contrapposizione ad una scelta del dg dell’ospedale. Sia ad Alzano, che negli altri ospedali la Regione non ha mai imposto nessun tipo di scelta». Giuseppe Marzulli, ex direttore medico dell’ospedale di Alzano, oggi in pensione, non esclude la possibilità di procedere legalmente contro l’ex assessore Gallera, come ha dichiarato alla testata online Valseriananews.
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