Vittima di stupro di gruppo risarcita solo con 4800 euro: Corte di Giustizia Ue fissa udienza contro l’Italia
Il prossimo 2 marzo la Corte di Giustizia dell’Unione europea discuterà la causa intentata contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri da una donna di Torino che nel 2005 è stata vittima di sequestro di persona e violenza sessuale di gruppo.
La ragazza, torinese di origini romene, è stata sequestrata appena maggiorenne da due connazionali che, dopo averla vista una sera in discoteca, l’hanno rapita e condotta in un casolare alle porte della città, dove l’hanno picchiata e violentata fino al mattino, abbandonandola poi per strada. I responsabili della violenza furono poi identificati ma fecero perdere le loro tracce.
Per la vicenda, la giovane si è vista offrire un risarcimento da parte dello Stato di 4800 euro, nonostante in primo grado le fosse stata assegnata dai giudici del tribunale penale una provvisionale di 100 mila euro ridotta a 50 mila in appello.
Il caso giudiziario
La questione giudiziaria nata dal caso dello stupro torinese non è semplice.
Si tratta della prima causa civile in Italia intentata nei confronti dello Stato per chiedere il risarcimento dei danni per reati violenti intenzionali quando i colpevoli non sono rintracciabili o non sono in grado di pagare. Altre cause successive di impianto simile sono diventate materia di discussione nei tribunali italiani, ma questa “causa pilota” è la prima ad essere arrivata all’attenzione della Corte di Cassazione.
Dal 2004 una direttiva europea obbliga gli Stati membri a creare “un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un risarcimento equo ed adeguato delle vittime” che non riescono ad ottenere quanto spetta dai colpevoli. La ragazza, quindi, ha deciso di portare in tribunale lo Stato, che non aveva ancora recepito tale direttiva.
A partire dal 2016 tuttavia, proprio per evitare sanzioni da parte della Corte di Giustizia Ue, il legislatore italiano è intervenuto a più riprese disponendo indennizzi del tutto inadeguati (per il reato di violenza sessuale l'”importo fisso” è appunto di 4.800 euro).
La donna è assistita da un team di avvocati specializzati, composto da Marco Bona, Umberto Oliva, Francesco Bracciani, Vincenzo Zeno-Zencovich. La tesi degli avvocati è che, essendo i violentatori rimasti impuniti, lo Stato, dal primo luglio 2005, avrebbe dovuto garantirle un indennizzo equo e adeguato, ma le cose sono andate diversamente.
A seguito di diversi rinvii la Cassazione, all’inizio del 2019, decideva infine di rimettere alla Corte di Giustizia la questione se gli indennizzi previsti dal legislatore italiano siano conformi al principio di indennizzo equo ed adeguato di cui alla direttiva del 2004. Il caso è così finito davanti la Corte di Giustizia Ue.
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