Coronavirus, parla il virologo Galli: “Ecco perché tanti casi in Italia”
I casi accertati di coronavirus sono finora 212. I morti sono 4 in totale: l’ultimo, stamattina, è un uomo di 84 anni ricoverato a Bergamo.
“Non è affatto detto che in altri Paesi non possa capitare la stessa cosa”.
Sull’epidemia da coronavirus il professor Massimo Galli, ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Milano e primario del reparto di Malattie infettive III dell’Ospedale Sacco di Milano, in un’intervista al Corriere della Sera spiega che “da noi si è verificata la situazione più sfortunata possibile, cioè l’innescarsi di un’epidemia nel contesto di un ospedale, come accadde per la Mers a Seul nel 2015”.
E aggiunge: “Purtroppo, in questi casi, un ospedale si può trasformare in uno spaventoso amplificatore del contagio se la malattia viene portata da un paziente per il quale non appare un rischio correlato: il contatto con altri pazienti con la medesima patologia oppure la provenienza da un Paese significativamente interessato dall’infezione”.
Secondo Galli, pertanto, “l’epidemia ospedaliera implica una serie di casi secondari e terziari, e forse anche quaternari” perciò quel che resta da capire ora bene è “come si è diffusa l’infezione e come si diffonderà. Che poi la trasmissione sia avvenuta inizialmente davvero in un bar o in un altro luogo – aggiunge il medico – andrà verificato quando avremo a disposizione una catena epidemiologica corretta. Quello che si può dire di sicuro è che queste infezioni sono veicolate più facilmente nei locali chiusi e per contatti relativamente ravvicinati, sotto i due metri di distanza”.
Pertanto è verosimile che il virus si sia introdotto in Italia attraverso qualcuno che, dice il professor Galli, arrivato “in una fase ancora di incubazione, abbia sviluppato l’infezione quando era già nel nostro Paese con un quadro clinico senza sintomi o con sintomi molto lievi, che gli hanno consentito di condurre la sua vita più o meno normalmente e ha così potuto infettare del tutto inconsapevolmente una serie di persone” ma “se l’avessimo fermato alla frontiera avremmo anche potuto non renderci conto della sua situazione”.
Perciò se così tanti casi si sono sviluppati in Lombardia e Veneto lo si deve forse anche al fatto che “Lombardia e Veneto sono le regioni in cui sono più intensi gli scambi con la Cina per ragioni economiche e commerciali, e in cui c’ è inoltre un’importante presenza di cittadini cinesi” anche se non è affatto detto che “a portare il virus in Italia sia stato un cinese, potrebbe essere stato anche un uomo d’affari italiano di ritorno da quel Paese”.
Purtroppo, dunque, con il primo paziente “non si è potuto capire subito cosa avesse. Ora bisogna vivere normalmente seguendo le indicazioni delle autorità.