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    Il movimento delle scuole carbonare: classi parallele in casa. La proposta di 30mila genitori contro lo stop di Azzolina

    "Assurdo non riaprire. Nella task force nessuno si occupa dei bambini". Così nasce la scuola carbonara: piccoli gruppi in casa, programmi fai da te e aiuto ai bambini meno fortunati

    Di Giulia Cerino
    Pubblicato il 20 Apr. 2020 alle 12:37 Aggiornato il 20 Apr. 2020 alle 14:24

    “Le scuole a settembre devono riaprire, è una questione di diritti. In tutta Europa ciò sta avvenendo, in Italia no. E se il ministero dell’Istruzione non si muove, noi siamo pronti a farci sanzionare, multare e anche incarcerare ma gli spazi di socialità servono e noi li ricreeremo da soli, in casa o all’aperto”.  Definirla arrabbiata è un eufemismo. Sara, due figli alla scuola primaria, denuncia a TPI che i “bambini sono stati dimenticati”.

    Il ministro dell’istruzione Lucia Azzolina ha annunciato ai genitori d’Italia che “a maggio la scuola non riaprirà” di sicuro mentre per capire come riprendere a settembre “è stata istituita una task force” di cui però per ora si sa poco e niente. “E’ stato allora che insieme ad altri genitori della scuola primaria e dell’infanzia ho deciso di lanciare ‘l’idea di fare una scuola carbonara”. Ha reagito Sara all’annuncio del ministro “lanciando l’idea di creare nelle nostre case delle mini classi di bambini”. La scuola carbonara ai tempi del Coronavirus ha già raccolto varie adesioni nelle scuole dell’infanzia della capitale e il progetto si sta diffondendo in altre zone d’Italia. Sara e insieme con altri genitori si sta muovendo in chat e in rete.

    L’idea è questa: a turno ogni famiglia ospiterà cinque o sei bambini di una determinata classe d’età che con l’aiuto dei genitori, una volta da uno e una volta dall’altro, faranno come se fossero a scuola. “Ogni gruppetto si riunirà per ora una o due volte alla settimana, per sei ore. Ogni gruppo manterrà nel tempo la stessa composizione in modo da non creare promiscuità tra bambini. Ogni ‘alunno’ avrà la sua mascherina e la sua sediola ben posizionata a un metro di distanza da quella del vicino. Per ciò che riguarda la scuola primaria seguiremo il più possibile il programma scolastico e, finalmente, avremo anche il tempo di approfondire ciò che a scuola è sempre stato fatto in fretta. I bambini leggeranno, scriveranno, faranno attività ludiche e piccole opere artistiche”. Di fatto, il movimento delle scuole carbonare farà – né più né meno – quello che già da due mesi a questa parte, ogni giorno, tutti i genitori d’ Italia già fanno per i propri figli: lavoretti, giochi e attività coi più piccoli, compiti e didattica online coi più grandi. Sara s’è fatta i conti.

    Sono quattro anni esatti da quando Carlo, suo figlio più piccolo, ha iniziato a frequentare le scuole: prima la Materna e poi la Primaria. Sono sette ore di scuola al giorno, quasi ogni giorno, da quattro anni. “Che facciamo gli togliamo tutto ad oltranza? Per non parlare della mancanza dei suoi amichetti che per Carlo rappresentano un buon 50 per cento del suo mondo. Abbiamo o no il dovere di proteggere il loro diritto al gioco e alla socialità garantiti dall’Onu? Abbiamo o no il dovere di fare in modo che anche loro abbiano indietro quel loro 50 per cento di mondo che il virus gli ha tolto mentre la task force del governo riflette anche e giustamente su come fare a mettere i lettini in spiaggia col Coronavirus?”.

    Quando Sara ha lanciato l’idea della scuola carbonara, nell’istituto di suo figlio alcuni genitori hanno storto il naso perché se confrontata ad esempio con la tragica situazione che stanno vivendo i figli dei medici coi genitori lontani, in isolamento a causa del Covid-19, la rivendicazione di Sara appare perlopiù un vezzo da radical chic. “Mi hanno detto di pensare alle cose serie, ai figli di padri o madri alcolisti o violenti, ai bambini che vivono con altre sei persone in 40 mq di casa o in condizioni precarie o di povertà. Ma il movimento della scuola carbonara è nato proprio pensando ai bambini più fragili, quei piccoli in difficoltà che con la scuola hanno perso un pezzo della loro serenità”.

    Alla Primaria di Carlo, il figlio piccolo di Sara, ben sette bimbi su venticinque non possono pagare la retta. “Sono proprio loro i primi che avranno una sedia nelle nostre classi carbonare”, spiega. Da quando è iniziata l’emergenza, s’è parlato di bambini solo in termini di ‘alunni’, ‘figli’, ‘nipoti’ o meglio, ‘untori’. Sembra che il governo abbia dimenticato che “i nostri figli sono portatori di diritti specifici tutelati dalle convenzioni internazionali”. A pensarla così non è solo Sara. In Italia ci sono 450mila minorenni a carico dei servizi sociali e tra essi 90mila sono vittime di maltrattamenti o vivono in condizioni di degrado. Per questi giovani, la scuola è socialità, è serenità, non solo nozioni e compiti a casa.

    E’ soprattutto per questi motivi che in Italia sta crescendo tra i genitori il consenso intorno all’idea di creare un sistema scolastico parallelo. “Da parte delle istituzioni finora sul tema dell’istruzione e della tutela dei minori è stata dimostrata poca sensibilità e poca concretezza”, spiega a TPI Maria, mamma di due figlie e maestra della scuola dell’infanzia. Lei quando ha letto l’intervista della Azzolina è saltata sulla sedia. “In quel momento di profondo sconforto ho deciso di mettermi a disposizione. Lo farò per le mie bambine e soprattutto per i loro compagnucci che non hanno a casa dei genitori capaci di stargli accanto emotivamente in questo periodo difficile”.  Maria ha deciso che organizzerà delle mini classi sul terrazzo condominiale del suo palazzo in periferia a Napoli: “esattamente come fanno in Danimarca dove le lezioni si tengono all’aperto nonostante il freddo e il grigiume”. Perché non farlo anche in Italia, il paese del sole? E poi, perché non ipotizzare di assumere giovani insegnanti e sostituirli – almeno temporaneamente -con i sessantenni più esposti al rischio di contrarre il virus?

    Come Maria anche altri docenti si sono fatti avanti. Nella task force del governo per la fase 2 mancano infatti figure esperte di infanzia e adolescenza. “Inoltre, a tre, cinque o otto anni i bambini sono ancora piccoli per stare attaccati ad un computer. Per loro – spiega Maria quasi piangendo – la didattica a distanza non ha alcun senso, per loro la scuola è relazione non lezioni online”. Alle rivendicazioni di Maria fanno eco da più parti gli appelli di altri. In queste ore nelle chat, su Whatsapp tra genitori rimbalzano da una parte all’altra idee di ogni tipo su come ovviare all’assenza della scuola e come fare per tutelare i diritti dei propri figli. Dietro alle loro rivendicazioni si cela un punto di natura politica. Samantha Tedesco, responsabile programmi e advocacy di Sos Villaggi dei Bambini, intervistata, lo spiega chiedendosi se davvero possiamo pensare ad “altri cinque o sei mesi a casa senza socializzare con nessuno?

    E’ possibile che non si possa trovare una soluzione diversa da chiudere i bambini in casa. Il punto è tutto qui. Perché se “c’è un problema strutturale allora troviamo delle soluzioni che siano strutturali o logistiche. Riapriamo i vecchi plessi, facciamo i turni, assumiamo personale. La risposta non può essere eliminare le persone segregandole”. In pratica, invece di mettere mano alle classi pollaio, In Italia si sta cercando di raggirare il problema. Invece di riorganizzare i docenti e distribuirli equamente occupando strutture attualmente inutilizzate, si preferisce non rischiare e chiudere le scuole fino a quando chissà.

    Costanza Margiotta, professoressa universitaria, è tra le mamme promotrici di una dura lettera-appello partita da Firenze e inviata per email al ministro Azzolina in persona. “Se giustamente dobbiamo tutelare il diritto alla salute di tutti – dice Margiotta – non possiamo però permettere che un diritto venga scansato perché ne dobbiamo tutelare un altro seppur estremamente importante”. Costanza e gli altri firmatari (professori universitari, medici, architetti, insegnanti, genitori, psicologi) hanno già raccolto 30mila firme e sta creando una task force parallela a quella del governo con l’obiettivo di presentare al ministro un piano per far ripartire le scuole e tutelare i diritti dei minori. “Hanno messo in conto di negare un intero anno di scuola alle nuove generazioni senza considerare che ogni regione ha le sue peculiarità. In Sardegna ad esempio ci sono paesi dove non si registra nessun contagio. Perché lì la scuola non può riaprire? Perché non si distinguono le situazioni?”. Tutte domande rimaste finora senza risposta mentre i genitori d’Italia si preparano ad affrontare lunghi e duri mesi. In attesa che parta la scuola carbonara.

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