Quella del contagio da Coronavirus sembra per certi versi una roulette russa. Un thriller. Alcuni sono immuni, mentre altri ne vengono devastati. Ci sono persone anziane che guariscono, mentre giovani in ottima salute che non ce la fanno. Perché il nuovo virus è così incredibilmente contagioso, ma anche così selettivo? TPI ha girato la domanda al professor Antonio Faiella, Responsabile Ricerca e Sperimentazione Clinica della U.O.C. Oncologia del Cardarelli di Napoli, per avere una risposta in chiave genetica. “Ci troviamo dinanzi a un virus nuovo – spiega Faiella – pertanto le conoscenze sono limitate, sebbene in costante incremento. Ma ci sono alcuni punti certi da cui partire: il primo è che il virus non ha modificato il proprio assetto genetico in modo importante durante questi tre mesi di pandemia; o perlomeno non lo ha modificato in modo tale da giustificarne una maggiore ‘aggressività’. In secondo luogo osserviamo una diversità di sintomi impressionante all’interno della popolazione colpita, passando da casi paucisintomatici, a quadri clinici drammatici. E infine ci sono i dati epidemiologici, che dimostrano una grande differenza nel tasso di letalità tra uomini e donne, con un rapporto di circa 3:1 a sfavore dei soggetti maschi”.
“Queste tre osservazioni sono punti fermi, e lasciano legittimamente ipotizzare che il patrimonio genetico dell’individuo giochi un ruolo determinante nella predisposizione al contagio. Il virus responsabile di COVID-19 penetra nelle cellule umane legandosi al recettore chiamato ACE2. Dobbiamo immaginare questo recettore come una serratura della quale il virus possiede la chiave. L’agente patogeno dunque riuscirà a penetrare (ed infettare) tutte le cellule che abbiano sulla loro superficie solo quella specifica serratura (la proteina ACE2, appunto). Questo recettore si trova sull’endotelio delle arterie (dove ne regola il restringimento e la dilatazione) e dell’epitelio polmonare (per proteggerlo dai danni causati da infiammazioni). Il gene (il segmento di DNA) che ‘comanda’ la produzione di ACE2 si trova sul cromosoma X che nelle cellule della donna è presente in quantità doppia rispetto alle cellule dell’uomo. Una linea di ricerca ipotizza che la maggiore produzione e disponibilità della proteina ACE2 nelle donne impedisca al virus di bloccare, saturare e danneggiare tutti i siti di legame disponibili, lasciandone alcuni indenni (quelli prodotti per così dire in “eccesso”), per poter svolgere le proprie funzioni protettive. Altri filoni di ricerca biomolecolare si sono sviluppati un po’ dappertutto nel mondo con l’obiettivo di individuare varianti genetiche del recettore ACE2, varianti che lo renderebbero maggiormente “esposto” all’attaco del virus. Ci sono poi anche studi sui gruppi sanguigni che pare giochino un ruolo importante nella prognosi della malattia. Ma è tutto ancora da dimostrare”,
In soli tre mesi, da quando cioè abbiamo fatto conoscenza con questo nuovo Coronavirus, sono state analizzate più di diecimila sequenze virali, tutte disponibili in una gigantesca banca dati aperta ai ricercatori di tutto il mondo. Il risultato di questa comparazione ci dice che coesistono otto sottotipi del virus, diffusi in diverse regioni geografiche, tutti facenti capo allo stesso ceppo virale cinese, quello originario, che sarebbe il loro predecessore comune. Benché ciascun ceppo presenti una sequenza genomica caratteristica, con piccolissime differenze le une dalle altre, il numero limitato delle variazioni (mutazioni genomiche) osservate e il fatto che queste siano concentrate in regioni del genoma ‘poco importanti’ (che non codificano proteine), suggeriscono che le differenze tra i diversi genomi non siano peculiari di un processo di evoluzione del ceppo virale, e che quindi non risultano responsabili dell’origine di un ceppo virale mutato e potenzialmente più virulento. Insomma, il virus non sta cambiando i suoi connotati in maniera significativa. Per rispondere alla seconda parte della sua domanda le dico che mi viene difficile pensare che un virus così contagioso possa sparire da solo. Probabilmente diventerà endemico, cioé circolerà nella popolazione, e dovremo farci i conti ad ogni stagione, come succede con l’influenza e i raffreddori. Poi magari verrò smentito….
In effetti i bambini appaiono meno vulnerabili alla infezione da Covid-19, stando ai dati epidemiologici. Il perché di questo fenomeno rimane ancora da capire però alcune ipotesi si possono avanzare: la prima si basa sulla presenza di una minore densità dei recettori necessari per l’aggancio del virus, le famose serrature di cui parlavo prima, o anche una loro immaturità di tipo strutturale che li renderebbe meno “visibili” alla chiave del virus. La seconda, sul fatto che una risposta immunitaria specifica meno violenta nei bambini, rispetto a quanto accade nell’adulto, condurrebbe ad una minore risposta in termini di infiammazione polmonare. La terza ipotesi è quella di una protezione crociata da parte delle vaccinazioni garantirebbe una “protezione profilattica”.
È bene ricordare che a dispetto di questi dati, apparentemente rassicuranti, stiamo purtroppo vedendo in alcuni Paesi esteri, soprattutto nei pre-adolescenti lo svilupparsi di forme gravi. I dati dell’Istituto Superiore di Sanità, fino al 10 aprile, ci dicono che i casi di contagio nella fascia di età da 0 a 18 anni hanno comunque superato le duemila unità. C’è da stare in guardia. Sebbene gli studi di genetica molecolare siano solo agli inizi, alcuni risultati, come abbiamo visto, sono già disponibili e a breve ne avremo degli altri, con qualche piacevole sorpresa, credo. Tuttavia la strada che porta alla piena conoscenza del virus e delle strategie per sconfiggerlo rimane ancora lunga da percorrere ma i ricercatori, si sa, hanno buona gamba. In ogni caso, quale che sia la nostra capacità biologica di rispondere al virus, in attesa di un vaccino sicuro, il rispetto maniacale delle regole di distanziamento e di protezione, senza mai abbassare la guardia, è l’unica strategia che può consentirci di vincere questa inaspettata, durissima battaglia.
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