Lo spettro del virus tra gli invisibili di Roma
Mentre la stragrande maggioranza degli italiani ha passato mesi chiusa in casa per evitare la diffusione del famigerato COVID-19, un altro pezzo del nostro Paese è stato costretto a rimanere in strada, esposto a una serie di vulnerabilità tra cui anche la diffusione del virus che le autorità, con una misura senza precedenti, avrebbero voluto prevenire.
Si tratta dell’esercito degli invisibili, un esercito difficile da quantificare che a Roma conta 8mila persone costrette a vivere in strada, cui vanno aggiunti 11mila in alloggi precari, insediamenti informali e occupazioni abusive, ma è un numero che potrebbe essere più alto perché oltre a loro ci sono una serie di altre persone, soprattutto stranieri, che restano esclusi dall’assistenza e di cui è difficile calcolare il numero.
Invisibili esposti a numerose vulnerabilità tra cui una carenza di assistenza, di accesso ai servizi, di cure mediche e, adesso, anche alla pandemia di COVID-19, alle quali si sono aggiunte le ulteriori fragilità di un sistema messo sotto pressione dalle rigide misure per contrastare il contagio e hanno portato alla perdita di posti di lavoro.
Il virus, nel Lazio, ha raggiunto gli 8.064 casi il 26 giugno, tra cui si contano 836 vittime: un numero più basso di molte regioni italiane ma che non va preso sottogamba, non solo perché abbiamo visto nascere di recente nuovi focolai, ma anche perché questo virus può facilmente prendere piede tra gli invisibili e tra i nuovi invisibili.
L’organizzazione umanitaria Intersos ha stilato un rapporto dal titolo “L’altra emergenza di Roma – Il COVID tra i dimenticati della capitale”, in cui mette in luce come la già mancante assistenza verso gli invisibili li abbia esclusi anche dal circuito del tracciamento, del monitoraggio e della prevenzione da un virus che ha bloccato il normale scorrimento della vita dell’intero pianeta. E il lockdown, se da un lato ha contribuito a frenare la diffusione del virus, tra gli invisibili ha contribuito ad aumentare l’esclusione.
“Durante l’emergenza è cambiata l’urgenza del bisogno”, ha detto a TPI Antonella Torchiaro, coordinatrice dell’ambulatorio popolare Intersos24, una struttura con cui l’organizzazione fornisce sostegno alle fasce più fragili della società. Al fianco dell’aggravarsi delle situazioni più problematiche, si sono aggravate anche le situazioni “borderline”, ovvero coloro che vivono in insediamenti precari o in occupazioni abusive, che vivono di lavori saltuari e che in questo periodo, in molti casi, l’hanno perso.
“Abbiamo registrato un aumento delle richieste di assistenza economica e di orientamento al lavoro, oltre che un sostegno per il sopraggiungere di ansia e stress”, ha aggiunto Torchiaro, chiarendo che il problema della mancanza di controllo sul futuro in situazioni in cui il welfare è meno accessibile diviene più complesso.
Al fianco delle persone che hanno continuato a transitare da Roma nel tentativo di raggiungere il nord Europa (un fenomeno che non si è fermato durante il lockdown) ci sono coloro che senza assistenza e senza la dovuta mediazione culturale sottovalutano l’importanza di aderire ai protocolli per arginare il coronavirus.
“Molti, soprattutto stranieri, si sentono legati alla loro comunità, e vedono come una stigmatizzazione il doversi isolare da loro, mentre altri hanno paura di dire al proprio datore di lavoro di vivere in un luogo occupato, per timore di essere discriminati o licenziati”, ci spiega Torchiaro. Sono tutte situazioni che rischiano, senza il dovuto sostegno e la dovuta informazione e mediazione culturale da parte delle istituzioni, di sfociare nella mancata adesione alle linee guida per frenare il coronavirus. “Bisogna spiegare loro che non devono avere paura, che la quarantena non significa malattia e che la malattia non è eterna”, aggiunge la dottoressa, spiegando quale sia il percorso da seguire e quali le necessità per il sostegno agli invisibili, in particolar modo i migranti.
L’ambulatorio Intersos24, secondo quanto reso noto nel rapporto, ha effettuato 965 visite mediche dal 10 marzo, individuando 27 persone con sintomi compatibili con quelli del COVID-19. Trattandosi di persone che vivono nell’ombra, esiste un fattore di rischio molto alto, dato dal potenziale ritardo nell’individuare le situazioni più pericolose che possano favorire la diffusione del virus negli strati particolarmente fragili e nascosti di Roma, quelli che hanno un accesso ai servizi ridotto o talvolta addirittura assente. Non deve stupire, nella situazione che abbiamo descritto, che tra i diversi focolai presenti a Roma, due – il Selam Palace e lo stabile della Garbatella – si siano sviluppati in occupazioni abusive.
Il lockdown sarebbe potuto essere l’occasione per censire più chiaramente le numerose realtà fragili, informali, spesso invisibili che gravitano su Roma e che diventano particolarmente vulnerabili in tempo di emergenza sanitaria, in modo da intervenire con maggiore incisività anche nel futuro. “A Roma abbiamo cercato la massima collaborazione di istituzioni e territorio, ma non sempre questo è avvenuto come avremmo voluto”, fa sapere a TPI Giovanni Visone, direttore della comunicazione e della raccolta fondi di Intersos, che mette anche in guardia sul fatto che a Roma “stanno emergendo nuovi fenomeni di esclusione”.
Esclusioni che non emergono solo dal rapporto di Intersos. Lo scorso maggio la Caritas di Roma aveva reso noto di aver ricevuto 2.200 richieste di soccorso in più, in modo particolare dalla zona est della città e dalla comunità filippina. Proprio per questo il Comune di Roma ha messo a disposizione 500 posti letto durante il lockdown per venire incontro alle esigenze dei senza fissa dimora.
In una città che conta migliaia di persone che vivono per strada e altre migliaia che vivono in alloggi informali, precari e occupazioni abusive, la crisi economica causata dal blocco per arginare il coronavirus può portare a nuove forme di esclusione, andando a infoltire quell’esercito di invisibili che faremmo bene a vedere. Un problema che a Roma dura da troppo tempo, e che proprio per questo non può non essere affrontato, soprattutto ora che rischia di farsi ancora più serio.
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