Coronavirus, parla la ricercatrice precaria che ha isolato il virus: “Combatto contro i virus a 1.500 euro al mese”
“Ho solo fatto il mio lavoro: quello che voglio, devo e mi piace fare. Nulla di più rispetto ai miei colleghi. In questi giorni tutto è amplificato, abbiamo avuto successo, ma la ricerca è questa”. A parlare è Francesca Colavita, una delle ricercatrici dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma che sono riuscite a isolare il coronavirus. Con lei, a realizzare questo successo sono altre due donne, Concetta Castilletti e Maria Rosaria Capobianchi, Direttore del laboratorio di Virologia dell’INMI. Colavita, 31enne ricercatrice molisana, intervistata da Repubblica, racconta la sua situazione di precaria nel settore della ricerca.
“Sono sei anni che lavoro per lo Spallanzani, prima con un co.co.co, ora con un contratto annuale”, dice. “Guadagno sui 20 mila euro all’anno”. Con un rapido calcolo, sono 1,500 euro al mese.
Secondo quanto ha dichiarato l’assessore alla Sanità del Lazio, la ricercatrice ora sarà stabilizzata. “A quanto so i dirigenti erano già interessati a farlo”, dice Francesca Colavita. E aggiunge: “Spero sia così, ma questo è un settore in cui si lavora per passione. È il motivo per cui, benché il pensiero ci sia, non voglio andare all’estero. Mi piace quello che faccio e dove lo faccio. Ma in Italia è dura, capisco quelli che se ne vanno. Spero davvero che la situazione migliori”.
La ricercatrice precaria, che sta facendo da due settimane test diagnostici sul coronavirus, sostiene che “studiare i virus è stimolante, è una sfida costante, una battaglia in cui stare sempre all’erta”.
“Non c’è sessismo nella ricerca, i problemi sono altri”, sostiene. “La ricerca è importante per una nazione, e sarebbe importante fare investimenti a lungo termine per quello che riguarda i lavoratori”.
“L’Italia deve dare più dignità ai ricercatori. Il nostro lavoro non è un gioco: anche la più piccola ricerca è il tassello di un puzzle che porta cure ed effetti”, conclude. “Mi auguro che questa occasione possa contribuire a far vedere la ricerca in modo diverso”.