Coronavirus, gruppi prolife lanciano petizione per sospendere l’aborto
“Durante la pandemia l’aborto non è un servizio essenziale, firma anche tu”: è la petizione lanciata da ProVita e Famiglia, uno dei maggiori gruppi prolife italiani, per chiedere di sospendere l’aborto negli ospedali perché considerato un’operazione chirurgica non prioritaria, a cui si può rinunciare in un periodo in cui le strutture sanitarie sono sovraffollate per l’emergenza Coronavirus. Nonostante la legge italiana indichi termini temporali inderogabili e indifferibili per l’interruzione di gravidanza, e cioè entro 90 giorni dal concepimento, i promotori della raccolta firme hanno intenzione di “chiedere al Ministero della Salute e ai presidenti di Regione che l’interruzione volontaria di gravidanza non sia considerata un intervento indispensabile o urgente, e che pertanto siano interrotte le operazioni abortive”.
Per gli attivisti di ProVita, che hanno promosso la petizione sul proprio sito, le interruzioni di gravidanza dovrebbero essere sospese così come “altre operazioni chirurgiche non strettamente indispensabili”, che in molte regioni sono state rinviate, per liberare risorse e spazio per affrontare l’emergenza. “Tuttavia, in una situazione di emergenza nazionale e internazionale nella quale gli interventi chirurgici – talvolta – vengono effettuati solo per i pazienti in pericolo imminente di vita, si continua imperterriti a sopprimere i bambini nel grembo materno e a considerare la pratica abortiva come se fosse un servizio essenziale, indifferibile e urgente”, scrivono i firmatari. Argomentazioni simili sono state avanzate anche negli Stati Uniti, dove in Ohio e in Texas l’erogazione del servizio è stata già sospesa.
L’ordine esecutivo emesso sabato 29 marzo dal governatore del Texas richiede agli operatori sanitari di “rimandare tutti gli interventi chirurgici e le procedure che non sono immediatamente necessarie dal punto di vista medico”, e tra queste è inclusa anche l’aborto. “Nessuno è esente dall’ordine esecutivo del governatore su interventi chirurgici e procedure inutili dal punto di vista medico, compreso chi effettua operazioni di aborto”, ha dichiarato il procuratore generale del Texas, Ken Paxton, aggiungendo che al personale che non rispetta la direttiva spettano fino a 1000 dollari di multa o 180 giorni di carcere.
In Italia, intanto, vari gruppi femministi, come Non Una Di Meno e Obiezione Respinta, stanno lavorando non solo per monitorare e segnalare gli ospedali operativi, ma anche per chiedere il potenziamento dell’aborto farmacologico con la RU486, una pillola abortiva, che nel nostro Paese si può effettuare solo nelle prime sette settimane e tramite Day Hospital, sostenendo che la donna è più esposta al rischio di contagio da Coronavirus in ospedale. I gruppi di attivisti chiedono che sia favorita l’assunzione della RU486 in casa e che il periodo per assumerla sia esteso alle 9 settimane, considerato dalla letteratura scientifica internazionale sicuro per la vita della madre.
ProVita e Famiglia vorrebbe invece vietare anche l’aborto farmacologico. Per la lobby cattolica la pandemia è un argomento in più per affermare che l’interruzione di gravidanza è una pratica “né indispensabile né urgente”, e paragonabile addirittura a una morte per Covid-19. “Le vite sono – o dovrebbero essere – tutte uguali e tutte, quindi, dovrebbero essere salvate, tanto quelle degli anziani e dei malati di Coronavirus, quanto quelle dei piccoli nel grembo materno”, scrivono i promotori nell’appello, che fino ad oggi ha raccolto 12mila firme.
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