Coronavirus, Andrea Crisanti a TPI: “Le donne si negativizzano prima’”
“Ho lavorato all’estero tutta la vita, sono venuto in Italia tre mesi fa e tutto è cambiato con una mia telefonata al governatore, mai avrei immaginato di trovarmi in una pandemia”. Il professore di microbiologia Andrea Crisanti, 66 anni, colui che Luca Zaia in conferenza stampa ha chiamato con ironica devozione “l’uomo dei tamponi”, ha la consapevolezza di trovarsi di fronte a quel qualcosa per cui ha studiato tutta la vita. Ed è a Vo’, da dove tutto in Veneto ha avuto inizio, che continuerà a portare avanti il suo studio epidemiologico con caratteristiche uniche al mondo: gli abitanti del piccolo centro veneto già oggetto di due campionature saranno infatti oggetto di un terzo studio, eseguito sempre dall’equipe del professore.
“A Vo’ si è creata una situazione irripetibile, perché di Vo’ sappiamo tutto fin dal primo momento. Non potremmo fare lo stesso esperimento con i condomini del palazzo di fronte, non conosceremmo la storia della malattia, come è arrivata l’infezione lì dentro e da chi, a Vo’ sappiamo tutto di tutti gli abitanti”.
Quello non si saprà mai.
L’idea di fare il tampone a tutta Vo’ è stata un’intuizione di Zaia. Io non lo conoscevo, ero in Italia da tre mesi. Appena lui ha chiuso Vo’ in quel modo e ha ordinato lo screening, io mi sono detto “Guarda che situazione fantastica che si è venuta a creare”. L’ho chiamato e gli ho detto: “Facciamo un altro tampone tra 9 giorni così vediamo l’effetto delle misure e se ci è sfuggito qualche contagio, così lo intercettiamo”.
Dico la verità: questo governatore, che aveva effettuato questa chiusura per ragioni di sanità pubblica, ha avuto subito anche l’intuito di accettare la mia proposta di fare un secondo ciclo di tamponi. Ora ha accettato anche la mia terza proposta.
Tre cose: capire come il virus muti passando da persona a persona. Studiare la reazione immunitaria e gli anticorpi, quindi chi li produce e chi non li produce e perché. Infine vogliamo studiare il patrimonio genetico della popolazione perché ci sono persone più suscettibili al virus e altre meno.
Mi permetta di dirle che questa definizione non mi trova d’accordo perché la cavia ha un ruolo passivo, i cittadini di Vo’ si sentono responsabilizzati, c’è un’importanza sociale enorme in quello che stiamo e stanno facendo.
Esattamente. Voglio capire se gli anticorpi hanno un’azione protettiva o meno. Se vediamo che gli anticorpi sono più elevati negli asintomatici vuol dire che hanno un ruolo nel diminuire la gravità dell’infezione, se vediamo persone che dopo 40 – 50 giorni sono ancora positive e poi sono piene di anticorpi, allora mi permetto di dubitare che gli anticorpi abbiano una funzione protettiva.
Quando io faccio la mappatura genetica posso vedere se ci sono dei profili che si associano con la suscettibilità o la resistenza all’infezione, posso vedere se ci sono profili genetici che si associano con la capacità di produrre anticorpi, dischiuderemo una finestra diversa.
Io credo che la sua imprevedibilità sia frutto della nostra mancanza di conoscenze. Con i primi casi di Hiv brancolavamo nel buio come adesso.
Dico la verità: no. Ero venuto in Italia per fare un’esperienza tre mesi fa, ho vissuto 25 anni a Londra, 3 anni ad Heidelberg e 4 a Basilea.
Sì. Essere qui oggi mi ha permesso di mettere a frutto un sacco di cose che ho studiato tutta la vita, perché io sono laureato in medicina, ho fatto il dottorato a immunologia, sono specializzato in microbiologia e ho una grossissima esperienza in genetica e immunologia. E poi perché io mi sono sempre occupato di genetica di popolazione, queste cose oggi, in questa circostanza, servono tutte.
Succede una cosa che non si è mai vista prima: si infettano i neonati, ma non si infettano mai o quasi fino a 10 anni. Noi avevamo 15/20 bambini a Vo’ che vivevano in famiglie con infetti che avevano contagiato altri familiari e i bambini non si sono infettati. Nemmeno uno.
Nessuno aveva visto un’epidemia coincidente negli ultimi 70 anni, mi sono messo nella posizione di imparare. Se c’è una cosa che non quadra io non mollo mai, mi ci fisso sviscerandola in tutti i suoi dettagli.
Il tema dell’immunità. Non sono convinto che abbia un valore protettivo.
Sono scettico, ma spero di sbagliarmi.
Io il 20 gennaio ho cominciato a preparare i reagenti, ma le informazioni dalla Cina non sono arrivate né tempestivamente né complete. Poi è stata anche colpa nostra, l’Europa poteva prepararsi anche solo vedendo quelle immagini spaventose dalla Cina, abbiamo perso due mesi importanti. Siamo rimasti aggrappati a questo sogno della nostra società invincibile.
Io do solo il peso ai morti e ricoverati in terapia intensiva, il resto non fa parte dei dati oggettivi.
Mi sembrano tante, una stima eccessiva. Ero rimasto a una stima che si aggirava intorno al milione e mezzo di contagiati, che trovo più plausibile.
Lei solleva un tema interessante. La verità è che le donne si negativizzano prima.
Entrambe. Il 60 per cento circa delle donne si negativizza in 9 giorni. Anche i giovani si negativizzano prima, ma in una percentuale decisamente meno significativa.
Nella varicella per esempio gli asintomatici sono molto contagiosi. La varicella poi ha un R0 pari a 12, ovvero un malato ne infetta circa 12 e anche il morbillo è contagioso negli asintomatici. Quello dell’infettività degli asintomatici è un tema molto interessante e avviene per una sorta di selezione naturale dei virus: nella fase asintomatica si ha più opportunità di infettare altri, se il virus fosse contagioso solo quando ha quasi ammazzato una persona, avrebbe pochissime possibilità di propagazione.
Io non mi occupo della parte terapeutica, però le posso dire che il nostro protocollo prevede anche l’utilizzo di anticoagulanti e sta andando bene.
Da tecnico, avrei fatto quello che ho fatto con Zaia. Avrei alzato il telefono per dare dei consigli. Avrei detto subito quello che ho detto a a Zaia: “Guardi governatore, bisogna aumentare la nostra capacità di fare diagnosi”.
Io a Zaia ho detto: i reagenti li facciamo noi, non si preoccupi. Però mi lasci dire che a volte, mi creda, determinate soluzioni arrivano per caso: perché ci sono le persone giuste nel momento giusto. Ci sono ricette e sinergie che non si possono ricreare ovunque. Le faccio un esempio: qui in Veneto ci sono 12 laboratori di sanità pubblica su 5 milioni di abitanti. In Lombardia ce ne sono 3 di sanità pubblica su 10 milioni. Aggiungo anche un’altra cosa: qui in Veneto ci sono le due università di Padova e Verona. La Lombardia ne ha tantissime, parlo della facoltà di medicina eh. Ecco, se un governatore lombardo viene chiamato da un virologo di una delle università lombarde è uno dei tanti. A me sono stati a sentire. Non esiste un modello veneto, ma una serie di circostanze che hanno fatto sì che in Veneto le sinergie giuste si attivassero tutte.
Avremmo seguito i pazienti a casa il più possibile. Però attenzione, noi abbiamo dato una botta micidiale all’epidemia spegnendo il focolaio di Vo’ e chiudendo l’ospedale di Schiavonia il 21 febbraio. E lì a Schiavonia, mi creda, bisogna dare atto alla Regione di aver preso questa decisione con tempestività perché senza quell’intervento sarebbe successo un macello. E poi abbiamo difeso con le unghie e coi denti l’ospedale di Padova, dove abbiamo fatto fare il tampone a tutti. Non c’è stata una persona che sia rientrata in quell’ospedale che non abbia fatto un tampone e parliamo di un ospedale con 1.600 letti, 9000 dipendenti e 15mila persone che ogni giorno entrano e escono. Si immagina cosa sarebbe successo se non avessimo arginato il virus lì? Immagini se quell’ospedale fosse stato gestito come Alzano, altro che Lombardia sarebbe diventato il Veneto.
Il giorno dopo Vo’ noi abbiamo fatto i tamponi a tutto l’ospedale di Schiavonia. Erano tutti imprigionati dentro.
Se la vuole mettere così…(ride). Li abbiamo messi tutti dentro, un’iniziativa della Regione. Malati, dottori e visitatori, nessuno è uscito finché non faceva un tampone.
Adesso non mi ricordo, però per un po’ di tempo, ecco. Ma questo ha radicalmente cambiato la curva.
Sì, si fida, anche quando gli ho detto che secondo me andavano fatti altri investimenti. C’è una grande stima reciproca, al di là di eventuali considerazioni di natura politica.
Sta insegnando tanto alla sanità pubblica europea in generale: in primis che non va trascurata l’epidemiologia come scienza, perché l’epidemia ci ha trovati impreparati. Le persone che in Italia si sono occupate di tifo, colera, malaria non ci sono più, il nostro Paese ha perso queste competenze col tempo.
La mia è una ragione molto semplice: quando dovevo scegliere la facoltà ero indeciso tra fisica e medicina, la fisica mi piaceva molto. Mia madre però voleva tanto un dottore in famiglia, ci teneva.
Sa, a volte certe cose avvengono per ragioni semplici.
Sì, perché amavo la ricerca. L’immunologia, il rapporto tra le infezioni e la risposta immune.
Guardi, io cerco di non pensare a niente, non rivedo le interviste che mi fanno, non ho Instagram o Facebook, non leggo le discussioni dei colleghi sui social e non vado a vedere i commenti perché poi uno cambia. In questo lavoro bisogna restare se stessi, seguire il proprio intuito e mantenere la propria autenticità. Ho avuto la mia notorietà scientifica, di altre cose non mi importa nulla. Ah, alla fine fisica l’ha fatta mio figlio.
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