Mancano le protezioni al Policlinico di Bari: “Il personale non può lavorare”
Il Policlinico di Bari sta terminando i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) necessari ad assistere i pazienti ricoverati per Coronavirus senza rischiare di essere contagiati. L’allarme è stato lanciato martedì 31 marzo, dal Direttore Generale del Policlinico, Giovanni Migliore, il quale denuncia una situazione precaria, in cui nonostante dall’inizio dell’emergenza sia stato fatto di tutto per preparare al meglio la risposta, senza le protezioni adeguate il personale non può lavorare in modo sereno.
I problemi riscontrati nella risposta all’emergenza all’interno del Policlinico di Bari sono due, entrambi legati alle protezioni. Da un lato, la quantità: nonostante l’investimento nel materiale sanitario sia stato enorme, “circa 1 milione di euro in una settimana per acquistare dispositivi all’inizio dell’emergenza” spiega Migliore a TPI, alcuni ordini sono stati bloccati dal coordinamento centrale della Protezione Civile. Le poche tute protettive arrivate, inoltre, non sono risultate “a norma”, sprovviste cioè della certificazione sul rischio biologico. Motivo per cui il personale medico non è tranquillo nell’operare indossando quel tipo di DPI.
“La difficoltà più grande è quella di proteggere i professionisti: abbiamo fatto uno sforzo straordinario utilizzando l’esperienza delle regioni in prima linea, come Lombardia ed Emilia Romagna, e ci siamo preparati realizzando un Covid Hospital da 250 letti nel giro di una settimana all’interno del Policlinico, trasformando aree destinate ad uffici in terapie intensive”, racconta Migliore a TPI. “Ho assunto specializzandi utilizzando quanto messo a disposizione dal provvedimento del governo ma guardar loro negli occhi, mandarli ad assistere senza che siano protetti è una responsabilità che oggettivamente difficilmente qualcuno può assumersi a fronte della carenza di materiale”, continua.
Ordine di materiale bloccato dalla Protezione Civile
Uno degli ordini di DPI e attrezzature elettromedicali effettuato dal Policlinico è stato ‘sequestrato’ dalla Protezione Civile nazionale: il fornitore, che aveva realizzato con successo un primo ordine, non è stato nelle condizioni di terminare anche il secondo in quanto i container sono stati bloccati dalla Protezione Civile Nazionale, che nell’emergenza ha preso in mano le consegne per gestirne la distribuzione. L’ipotesi è che siano state privilegiate le regioni del nord che erano più a rischio rispetto a quelle del sud. Dove però la carenza di materiale inizia a costituire un problema.
Dopo alcune pressioni da parte della Regione Puglia, i rifornimenti sono arrivati ma “a singhiozzo” e comunque in misura non adeguata. Come denunciato anche dal governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, nella notte del 27 marzo sono state consegnate 3.480 mascherine FFP3, 34.800 mascherine FFP2, 30.000 bende e 2.000 tute, ma il fabbisogno giornaliero pugliese è di 33.500 mascherine FFP3, 33.500 mascherine FFP2 e 21.350 tute. Per quanto riguarda il Covid Hospital, alla struttura sono arrivate 200 tute, ma il personale medico al suo interno è composto da 400 persone: significa che ci vogliono almeno 400 tute al giorno per garantire un turno a tutto il personale, e l’ideale sarebbe ottenerne il doppio per permettere a ognuno di cambiarsi almeno una volta al giorno e lavorare nel rispetto della propria igiene personale.
Come spiega Migliore, è proprio la mancanza di dispositivi a far sì che solo 400 persone siano impiegate nella struttura allestita per l’emergenza Coronavirus, in cui adesso sono ricoverate 150 persone, di cui 27 in rianimazione. “Su 4200 dipendenti del Policlinico, con il materiale che abbiamo a disposizione adesso posso impiegarne solo 400”, sottolinea il dirigente. E anche per il personale ad oggi impiegato il materiale risulta insufficiente.
DPI senza certificazione sul rischio biologico
Le 200 tute arrivate al Covid Hospital del Policlinico nella consegna del 27 marzo sono risultate non “a norma”, sprovviste cioè della certificazione europea sul rischio biologico. Migliore racconta che è accaduto lo stesso con altri DPI arrivati da altre aziende sanitarie e autorizzati dalla Protezione Civile. Qui risiede la seconda criticità. “Le tute non sono certificate per la protezione dal rischio biologico. Abbiamo chiesto una verifica sul materiale fornito e ci è stato confermato che anche se privo di certificazione è utilizzabile, perché idoneo alle indicazioni dell’Iss. Eppure questo non ci da la serenità necessaria per operare. Gi infermieri non se la sentono di entrare ad assistere i pazienti con le tute non certificate, ieri si rifiutavano di entrare nelle stanze”.
La replica della Protezione Civile
Interrogato da noi di TPI sulla mancata certificazione dei DPI a margine della conferenza stampa delle 18 di mercoledì 1 aprile, il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli ha risposto: “Gli ordini fatti da noi con il commissario sono certificati. Abbiamo messo in piedi un controllo per tutto quello che arriva con il personale qualificato della Croce Rossa, che effettua un controllo a campione. Il tema è che quando distribuisci milioni di mascherine, per esempio, effettui un controllo a campione. Soprattutto per le donazioni non sappiamo quello che arriva. Abbiamo detto ai colleghi delle regioni di fare attenzione quando arriva il materiale per controllare e evitare errori perché nella quantità possono esserci problemi”.
Cambiare le procedure di certificazione
Intanto Migliore, con la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (Fiaso), di cui è Vicepresidente, ha chiesto in una lettera al ministro della Sanità e al presidente del Consiglio che le procedure di certificazione siano affidate direttamente alla Protezione Civile, per snellire le procedure e far sì che il materiale sia a norma di legge. “Quello che chiediamo è che, nell’ambito dell’adeguamento del Dpcm, venga presa in considerazione questa situazione in modo tale che nelle procedure emergenziali il processo di certificazione possa essere assegnato al coordinamento centrale. Inoltre è necessario snellire le procedure per consentire di immettere sul mercato una produzione di materiale che può incontrare la domanda”, osserva ancora il direttore.
Intanto al Policlinico si lavora nell’ansia. “È un’angoscia quotidiana dover turno per turno assistere chi è lì con il minimo indispensabile, ha una ricaduta sulla qualità dell’assistenza perché se ho pochi dispositivi, nonostante potrei utilizzare altro personale, cerco di limitarlo, in modo da non sprecare il materiale. Eppure tutti i pazienti hanno bisogno di assistenza continua, non solo quelli che sono in terapia intensiva”, spiega Migliore. “Per chi è isolato in stanza singola le giornate sono lunghe, il contatto con gli infermieri aiuta nel percorso di cura, ma senza protezioni adeguate ho difficoltà a garantirlo. Ora possiamo andare avanti fino a domani grazie a un prestito che ci è arrivato da un’azienda di Foggia, la prossima settimana ci dovrebbe arrivare materiale che siamo riusciti ad acquistare direttamente da un fornitore, ma fino ad allora vivremo alla giornata”.
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