Coronavirus Lombardia, con la sanità pubblica in tilt chi vuole operarsi (e ha i soldi) si rivolge ai privati: così si alimenta il mercato nero della salute
“In Lombardia c’è il pericolo di sciacallaggio sanitario, in questo momento. C’è il rischio di mercato nero della salute.” A lanciare l’allarme a TPI è il dottor Privato Fenaroli, direttore del reparto di senologia all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
In seguito all’emergenza Coronavirus, l’attività privata è stata chiusa su indicazione regionale in tutte le strutture pubbliche della Regione Lombardia ed è stata giustamente data indicazione anche a tutte le strutture private di orientare le proprie necessità sul Covid-19, lasciando però una porta aperta. È ovvio che se si lascia uno spiraglio, ognuno fa quello che vuole. Chi ha un tumore non urgente, in questo momento delicato, non può essere operato né con il sistema sanitario nazionale e nemmeno a pagamento qui a Bergamo, però se va a Milano, a Pavia o in altre città della Lombardia, in qualche clinica e in barba a tutte le norme trova ancora qualcuno che lo opera privatamente. Ma quindi operiamo solo quelli che hanno i soldi?
Certo, me lo dicono le mie pazienti, che mi chiamano e mi chiedono perché non possono essere operate a Bergamo, né pubblicamente né privatamente, ma se vanno a Milano in certe cliniche, pagando, possono essere operate subito. Anche domani. Questo non può esistere e io lo dico pubblicamente. La Regione ha fatto una delibera lunedì scorso, riferita proprio alle strutture private, nella quale ribadisce il blocco dell’attività privata, però aggiunge che sia possibile orientare le capacità, il che vuol dire che se queste strutture sono in grado di operare lo possono fare. Si lascia questa discrezionalità, ma non esiste al mondo. In un periodo di guerra il negozio dell’attività privata deve essere chiuso per tutti.
Le vere urgenze in medicina sono due: quando una persona non respira e quando sanguina. Tutto il resto si può aggiustare.
Certo. Abbiamo ridotto la nostra attività del 70 per cento, quindi in quel 30 per cento residuo rientrano proprio queste urgenze a cui lei fa riferimento. Ma non possiamo permettere che ci siano vie di fuga. Tutte le strutture private in questo momento devono essere requisite, assoggettate a quella che è la regolamentazione del sistema sanitario. Nella delibera regionale viene lasciata ampia discrezionalità alle strutture private e di conseguenza a chi vigila su di loro, quindi all’assessorato alla sanità. Tutti i casi di tumori che vengono operati in questo momento devono rientrare in una precisa fascia di rischio, se non ci rientrano non si operano. Ci sono tumori che devono essere operati entro 30 giorni e se ne deve occupare il servizio sanitario nazionale. Gli altri non si operano, perché c’è sempre il rischio che ci sia qualcuno che faccia il furbo. E questo non è accettabile, anche per rispetto di chi è in trincea. Io che cosa devo rispondere alle mie pazienti? Noi facciamo sei sedute operatorie alla settimana. Operiamo 10-15 tumori alla settimana.
Esatto. Noi ora ne operiamo 4-5 alla settimana, le abbiamo divise in fasce, mettendo in piedi cure alternative in attesa dell’intervento, cercando di dare precedenza ai tumori urgenti, da operare entro 30 giorni. In questo momento sul territorio regionale io credo che ci sia la potenzialità di operare tutte queste persone nelle loro città, senza trasferimenti, a condizione però che tutti rispettino le stesse identiche regole. E ci dev’essere qualcuno che le faccia rispettare. Noi siamo nel bel mezzo di Caporetto, ce la stiamo mettendo tutta e ce la faremo, però bisogna che tutti giochino pulito. La sanità lombarda è troppo sbilanciata sul privato, in Veneto ad esempio non è così e il privato fa quello che dice la Regione. Da noi in Lombardia, invece, è vero il contrario: i privati possono fare quello che vogliono e in questa fase di emergenza totale il rischio è che mentre noi medici e operatori sanitari siamo in trincea a combattere una guerra, qualcuno nelle retrovie ne approfitti per farsi gli affari propri. Sulla pelle dei malati.
Ho scritto diverse lettere all’assessore Gallera, senza mai ricevere una risposta. Capisce che per un cittadino e peggio ancora per un povero cittadino che però ha sempre pagato le tasse è intollerabile anche il solo dubbio di poter pensare che a Bergamo, mi conceda la metafora, si muore di fame, però se hai i soldi puoi andare a Milano dove continuano a serviti pasti luculliani, in sfregio alla situazione drammatica locale e alla faccia dell’interesse comunitario. Voglio pensare e mi auguro che questo sia un dubbio infondato, anche se le segnalazioni che mi giungono mi fanno sospettare il contrario.