“Coronavirus, devastante per il Lazio la settimana bianca di marzo”: parla il direttore del DEA del Policlinico Umberto I di Roma
“L’epidemia del Lazio ha un link epidemiologico, in tutti i casi, con un parente del nord o con chi è andato in settimana bianca. La settimana bianca dall′1 all′8 marzo è stata devastante per il nostro territorio: tantissimi casi sono la conseguenza di quei giorni”. Sono le parole, riferite in un’intervista all’Huffington Post, del Prof. Francesco Pugliese, direttore del DEA – Dipartimento Emergenza, Accettazione, Anestesia e Aree Critiche – del Policlinico Umberto I di Roma, sulla situazione dei contagi da Covid-19 a Roma e nel Lazio, territorio dove si teme che le cose possano peggiorare da un momento all’altro. Ed è questo il motivo per cui, nella capitale, sono stati allestiti cinque ospedali al fine di fronteggiare un acuirsi improvviso dell’emergenza Coronavirus: dopo lo Spallanzani, infatti, anche il Gemelli, il Sant’Andrea, il policlinico di Tor Vergata e quello de La Sapienza (l’Umberto I, appunto) sono pronti ad accogliere e prendersi cura dei pazienti affetti dal pericoloso virus che sta mietendo migliaia di vittime in tutto il mondo o di chi, al momento, è solo un caso sospetto.
Perché il timore più grande, attualmente, per chi lavora nelle strutture ospedaliere, è che un soggetto contagioso possa accedere e infettare altri pazienti, o il personale. Ed è per questo motivo, ha riferito Pugliese, che sono stati “creati dei percorsi”, e che il Professore non accetta critiche circa le procedure finora messe in atto all’interno della struttura romana. “A differenza di quello che raccontano – ha spiegato Pugliese – la delegazione di medici cinesi ci ha inondato di complimenti. Sono venuti e hanno fatto una chiacchierata con noi raccontando la loro esperienza, e hanno fatto una perlustrazione delle aree più critiche: sono andati nella rianimazione centrale e hanno visto i percorsi da noi predisposti tra aree pulite, aree sporche e le varie zone filtro e ci hanno fatto i complimenti”.
Secondo Pugliese sono troppo pochi gli elogi al lavoro dei medici e di tutto il personale dell’Umberto I, il quale si domanda “come mai si parli bene solo dello Spallanzani e del Gemelli”. “Qui c’è gente che lavora e basta, senza chiedere nulla – ha proseguito il direttore – ma si amareggia, giustamente, per certi articoli di stampa. Io parlo non per voglia di apparire, ma perché i nostri medici, il nostro personale merita il riconoscimento dell’enorme lavoro che sta compiendo”. Lavoro assolutamente essenziale in questo momento in cui, anche se il trend dei contagi sembra essere in diminuzione, potrebbero scoppiare nuovi focolai epidemici, al Sud come nel Lazio, dove nelle scorse settimane hanno fatto ritorno centinaia di persone che erano state, per vari motivi, nelle zone rosse del Nord. E il Policlinico, come anche le altre strutture romane, si sono già preparate a una tale evenienza: “Nel giro di poche settimane – ha spiegato sempre Pugliese – siamo arrivati alla situazione attuale: abbiamo 160 posti letto e diverse altre decine di posti disponibili a breve, il tutto rispettando dei percorsi di sicurezza. Nella nostra programmazione siamo pronti a spostare una parte dell’attività clinica ordinaria al San Camillo, che non è un ospedale Covid, e recuperare così altri 12 posti letto di terapia intensiva”. Pugliese ha anche rassicurato sul fatto che all’Umberto I il personale medico e infermieristico è dotato dei necessari dispositivi di protezione individuale, con la Protezione civile che sta inviando mascherine e tutto il materiale “in modo regolare”. Ma denuncia anche “un cattivo utilizzo da parte dei cittadini di questi presidi”, dato che “la FFP3 protegge solo il soggetto che la indossa, ma se chi la indossa è infetto infetta tutti quelli intorno”.
Infine il Prof. ha voluto dare delle rassicurazioni per quanto riguarda l’epidemia nel Lazio, descrivendo ancora una volta i pazienti in cura come “tutti casi epidemiologicamente riconducibili al nord e alle settimane bianche” e sostenendo che “il problema di questa malattia” sono i lunghi tempi di guarigione. “Ogni ammalato che finisce in terapia intensiva ci sta in media tre settimane. È un turn over molto lento, e nel frattempo altra gente si ammala. Per questo bisogna fermare il contagio, altrimenti non si riuscirà ad avere l’accesso alle cure”.
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