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    Il Coronavirus in Italia: perché il Nord è più colpito del Centro-Sud

    Credit: Pixabay
    Di Enrico Mingori
    Pubblicato il 13 Apr. 2020 alle 13:29

    Il Coronavirus in Italia: perché il Nord è più colpito del Centro-Sud

    In Italia il Coronavirus si è diffuso, almeno finora, molto più al Nord che al Centro-Sud. Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto sono le regioni più colpite dalla pandemia, mentre dal Lazio in giù il numero dei casi registrati è più limitato. Fino ad oggi non si sono verificate le preoccupazioni espresse nelle scorse settimane da più parti sull’ipotesi che il Covid-19 potesse propagarsi nel Mezzogiorno, dove le strutture sanitarie sono meno avanzate. Ma perché il Coronavirus si è diffuso più al Nord che al Centro-Sud? Un gruppo di docenti e ricercatori dell’Università di Catania ha provato a rispondere a questa domanda.

    I risultati dello studio non forniscono una risposta univoca, ma analizzano una serie di possibili fattori, tra cui la densità di popolazione, l’inquinamento e il clima.

    Il tasso di mortalità da Coronavirus è intorno al 13,6% in Lombardia e intorno al 2,4%, cioè quasi sei volte meno, in Sicilia. Secondo gli autori della ricerca, però, non bisogna fidarsi di questi numeri, che sono evidentemente correlati al numero di tamponi effettuati. Peraltro, “l’impatto dell’epidemia nelle regioni settentrionali dell’Italia è sicuramente molto più drammatico rispetto al resto del nazione”.

    Nello studio viene subito respinta al mittente la tesi secondo cui il virus sarebbe rimasto confinato al Nord: si ricorda, ad esempio, che i primi casi di Covid-19 in Italia furono registrati a Roma (ricorderete la coppia di turisti cinesi) e il grande “esodo” verso Sud poche ore prima entrasse in vigore il lockdown. “Il contagio ha avuto abbastanza tempo per diffondersi in modo quasi omogeneo in tutte le regioni, già prima di qualsiasi restrizione di mobilità”, si legge nello studio dell’Università di Catania. “Tuttavia, sembra che, per qualche motivo, gli effetti dell’epidemia siano stati amplificati in un numero limitato di regioni”.

    E allora ecco alcune ipotesi sulle possibili cause. Prima: “l’urbanizzazione”, fenomeno che “influenza sempre più le caratteristiche epidemiologiche delle malattie infettive”. “La stretta vicinanza delle persone nella loro mobilità a corto raggio e l’atteggiamento di utilizzare i mezzi pubblici affollati è amplificato in città compatte e dense”, scrivono i ricercatori. Che evidenziano anche come “circa il 43% della popolazione italiana è concentrata nelle cinque regioni del Nord Italia (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Trentino) e una su sei in Lombardia”, mentre “nell’Italia meridionale la popolazione è prevalentemente concentrata lungo le zone costiere”.

    Anche l’inquinamento atmosferico potrebbe aver giocato contro le regioni settentrionali, e in particolare contro la Pianura Padana. “È noto – si legge nello studio – che le persone con patologie polmonari e cardiache croniche causate o peggiorate dall’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico sono meno in grado di combattere le infezioni polmonari e hanno maggiori probabilità di morire”.

    E poi c’è l’ipotesi clima: non ci sono evidenze, finora, sul fatto che il Coronavirus “soffra” il caldo, ma i ricercatori catanesi ricordano che “in generale, quando la temperatura media scende di 1 ° C, il rischio stimato per le infezioni del tratto respiratorio inferiore è del 2,1%”.

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