Coronavirus, Iss: “L’epidemia in Italia non è arrivata dalla Cina”
Nessun caso dell’epidemia di coronavirus che si sta diffondendo in Italia ha a che fare con la Cina. Lo suggerisce l’indagine epidemiologica condotta dall’Istituto Superiore di Sanità, contenuta nell’approfondimento che verrà pubblicato a partire da oggi il martedì e il venerdì sul sito Epicentro.
Secondo quanto evidenziato dagli studiosi, a Codogno i positivi erano malati già di seconda o terza generazione. La trasmissione dell’infezione da Sars-Cov-2 è avvenuta in Italia per tutti i casi, ad eccezione dei primi tre segnalati dalla regione Lazio che si sono verosimilmente infettati in Cina, ed è stata poi segnalata dalla regione Lombardia una persona di nazionalità iraniana, tuttavia non è stato indicato dove possa essere avvenuto il contagio anche se la persona si è verosimilmente infettata in Iran.
Attualmente, si legge nel documento basato sulla situazione alle ore 10 del 9 marzo 2020, non è possibile ricostruire, per tutti i pazienti, la catena di trasmissione dell’infezione. La maggior parte dei casi segnalati in Italia riportano un collegamento epidemiologico con altri casi diagnosticati in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, le zone più colpite dall’epidemia.
L’età mediana delle persone colpite da coronavirus in Italia è di 69 anni (0-18 anni: 0 per cento; 19-50 anni: 10 per cento; 51-70 anni: 46 per cento; >70 anni: 44 per cento). Lo stato clinico è disponibile solo per 2.539 casi, di cui 518 (9,8 per cento) asintomatici, 270 (5,1 per cento) pauci-sintomatici, 1.622 (30,7 per cento) con sintomi per cui non viene specificato il livello di gravità, 1.593 (30,1 per cento) con sintomi lievi, 297 (5,6 per cento) con sintomi severi, 985 (18,6 per cento) critici. Il 21 per cento dei casi risulta ospedalizzato, e tra quelli di cui si conosce il reparto di ricovero (1.545) il 12 per cento risulta in terapia intensiva. “L’indagine – ha sottolineato il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro – rileva una percentuale significativa di casi sotto i 30 anni, un dato che conferma quanto questa fascia di età sia cruciale nella trasmissione del virus”.
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