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    Coronavirus, uno studio spiega la correlazione tra alto tasso di mortalità e inquinamento in Lombardia

    Di Marta Vigneri
    Pubblicato il 21 Apr. 2020 alle 12:36 Aggiornato il 21 Apr. 2020 alle 12:48

    Coronavirus, lo studio sulla correlazione tra inquinamento e mortalità in Lombardia

    Esiste un collegamento tra i principali focolai di Coronavirus in Lombardia e l’inquinamento atmosferico? Secondo un lavoro scientifica sulla correlazione tra il perdurare dell’inquinamento e le zone con il più alto numero di contagi, pubblicata sul Journal of Infection da un gruppo di studiosi, sì. Antonio Frontera, ricercatore dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano e primo autore dello studio, ha spiegato a Fanpage.it perché in Italia il Coronavirus ha colpito maggiormente alcuni centri urbani nonostante ne esistano anche altri che registrano gli stessi livelli di polveri sottili (PM 2,5) e, nello specifico, il biossido di azoto.

    “Con la nostra research letter puntiamo il dito contro alcuni inquinanti industriali, in particolare il biossido di azoto, in quelle aree principalmente colpite dal Covid-19. Un più alto livello di inquinamento atmosferico giocherebbe infatti un ruolo determinante nella diffusione dell’infezione e, sospettiamo, anche nell’aumento della mortalità in alcune regioni, come ad esempio in Lombardia e nelle Marche”. Frontera ha sottolineato come la ricerca confermi quanto già osservato in Cina – dove diverse ricerche hanno già collegato una maggiore diffusione dei virus e di altri agenti virali alle città dove l’inquinamento è più alto – e quanto emerso dal lavoro di una ricercatrice italiana dell’Università di Harvard, “anche se ancora in formato pre-print”. Lo studio “supporterebbe l’ipotesi che il virus Sars-Cov-2 possa essere peggiorato dalla diffusione dell’inquinamento.” Il professore ha osservato che nella Pianura Padana l’epidemia ha avuto una diffusione più capillare perché in Lombardia “vi è una sorta di cappa”.

    “Essendo circondata da tutto l’arco alpino e dall’appennino ligure, si forma una specie di conca, e questo impedisce il recircolo corretto di aria. Nella Pianura Padana l’aria ristagna e c’è un fenomeno chiamato fenomeno dell’inversione termica. Diciamo che la localizzazione di alcuni siti industriali, soprattutto nelle aree di Bergamo e Brescia, non è stata un’idea intelligente. Voglio dire, semplicemente, che non è il miglior posto dove collocare l’industria”, ha aggiunto Frontera.

    “Le uniche aree dove si raggiungono concentrazioni di particolato e biossido di azoto simili a quelle registrate nei mesi scorsi in Cina siano la Pianura Padana e l’intera regione del Belgio e dell’Olanda. Guarda caso dove oggi, al momento, si registra la più alta mortalità. Nella Pianura Padana, in particolare, per le caratteristiche orografiche del territorio, si creano una serie di eventi atmosferici, tra cui il fenomeno dell’inversione termica che permette questo ristagno dell’aria”, ha proseguito il ricercatore, spiegando poi qual è la correlazione tra questi livelli di biossido di azoto e la più alta letalità del virus sempre in queste regioni.

    “Noi imputiamo la maggior mortalità soprattutto a questo effetto combinato di inquinamento atmosferico espresso in termini di PM 2,5 e caratteristiche del territorio che, insieme al clima, creano le condizioni atmosferiche per una maggior diffusione del virus. A Taranto, ad esempio, come a Napoli e Siracusa, dove ci sono alcuni importanti siti industriali del Sud Italia, non c’è stata una grande diffusione del virus nonostante si evidenzino valori di particolato molto importanti su base oraria. Qui c’è un maggior recircolo d’aria, nel senso che i fumi vengono dispersi nelle regioni limitrofe e molto anche nel mare. In Pianura Padana, invece, non è così, perché non c’è vento e non piove frequentemente. Questi elementi fortuiti hanno creato una condizione perfetta per un maggior ristagno di aria, per cui il particolato si sospende maggiormente nell’atmosfera. Ed esistono evidenze scientifiche per cui il particolato può trasportare particelle virali”.

    “Parliamo di una carica virale molto bassa, per cui non credo che questo possa infettare così tante persone, ma nel caso di un soggetto con un’alta carica virale, potrebbe addirittura infettare una persona che è a 5 o 6 metri di distanza. E questo potrebbe magari spiegare l’elevata diffusione del virus in alcune regioni, come la Lombardia. Ma si tratta di dati preliminari che devono essere ancora validati da un punto di vista scientifico”, ha aggiunto lo studioso, facendo anche riferimento alla possibilità che sia l’accelerazione di alcuni cambiamenti nei tessuti delle persone più esposte all’inquinamento atmosferico a predisporre alla malattia. “È vero che chi è esposto cronicamente al PM 2,5 sviluppa delle condizioni che possono poi favorire l’aumento dell’incidenza di alcuni virus respiratori. E questo perché si crea un substrato favorevole, forse favorendo il link tra il virus e i recettori, e facilitando una maggiore infezione. Ma questo aspetto è oggetto di studio, non solo qui al San Raffaele ma in tutto il mondo, e ci stiamo lavorando”, ha concluso Frontera.

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