Dalla Germania a Codogno: ecco come il coronavirus è arrivato in Italia
Esiste un collegamento tra il caso del 33enne dipendente della Webasto risultato positivo al coronavirus in Germania alla fine di gennaio e la diffusione dell’epidemia in Italia rilevata il mese successivo? Secondo gli studiosi, sì. A indicarlo è la “mappa genetica” pubblicata sul sito Netxstrain, fondato e diretto dal gruppo guidato da Trevor Bedford, del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle.
Analizzando il percorso e le mutazioni genetiche del Covid-19, gli studiosi ritengono che il virus sia entrato in Europa più volte e che il focolaio tedesco potrebbe avere alimentato la catena di contagi senza essere riconosciuto, al punto da essere collegato a molti casi in Europa e in Italia. “Dal primo febbraio circa un quarto delle nuove infezioni in Messico, Finlandia, Scozia e Italia, come i primi casi in Brasile, appaiono geneticamente simili al focolaio di Monaco”, rileva Bedford.
I contagi avvenuti a Monaco, nonostante l’azienda dove lavora il 33enne sia stata chiusa per 15 giorni dopo la comparsa dei primi casi, può aver “continuato ad alimentare una catena di trasmissione”, secondo lo studioso, “che non è stata rilevata finché non è cresciuta al punto da avere dimensioni consistenti”. Ma qual è stata questa catena di trasmissione?
Da Wuhan alla Webasto, da Monaco al Nord Italia: sulle tracce del Covid-19
Al centro del focolaio tedesco di coronavirus c’è la Webasto, storica azienda che produce componenti automobilistiche, fondata a Stockdorf, in Baviera, e con sedi in diversi continenti. A contagiare il “paziente 1” tedesco, il 33enne originario di Kaufering che lavora per la Webasto è una collega di Shanghai, arrivata a Monaco di Baviera dalla Cina il 19 gennaio per partecipare a un meeting aziendale in programma a partire dal 21 gennaio. Tre giorni prima, l’impiegata cinese aveva ricevuto la visita dei familiari che arrivavano da Wuhan, in un momento in cui la reale portata di quel focolaio cinese non era ancora emersa.
La donna cinese quando arriva in Germania non mostra sintomi, mentre il 33enne tedesco il 24 gennaio ha febbre alta, tosse e dolori muscolari. Nel frattempo la collega di Shanghai comincia a stare male durante il volo di ritorno in Cina, dove risulta positiva al Covid-19 il 26 gennaio. A quel punto il 33enne di Kaufering, che nel frattempo era rientrato a lavoro perché stava meglio, fa il test e diventa il paziente 1 in Europa. Si scopre che altri tre dipendenti della Webasto sono stati contagiati: un 27 enne, un 40enne e una donna di 33 anni. Solo uno dei tre era al meeting con la collega cinese, gli altri avevano incontrato solo il paziente 1. Il 30 gennaio spuntano fuori altri casi e in meno di una settimana la Webasto si ritrova con sette dipendenti contagiati. L’azienda viene chiusa per 15 giorni, ma non scatta nessun allarme ulteriore.
Arriviamo così all’inizio di febbraio. Poche settimane dopo ci sarà la scoperta del paziente 1 di Codogno. Un caso che sia avvenuto proprio lì? Non sembra, dal momento che la Webasto ha diverse uffici nel nord Italia e uno è 45 chilometri da Codogno, come sottolinea Riccardo Luna in un articolo su Repubblica. Non sappiamo chi abbia portato il virus lì, ma a quel punto il coronavirus stava già circolando in silenzio tra noi.
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