Coronavirus, cosa succede nelle Marche: il focolaio di Pesaro, il Covid hospital di Civitanova e le affinità con la Lombardia
L’epidemia di Coronavirus che si è abbattuta duramente sul Nord Italia, colpendo in particolare Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto, non ha risparmiato duri colpi anche in alcune regioni del Centro, tra cui spiccano le Marche e, in particolare, la provincia di Pesaro Urbino. Secondo gli ultimi dati forniti da Gores, il gruppo operativo regionale che coordina l’emergenza sanitaria, nelle Marche ci sono stati 5.826 casi accertati dall’inizio della crisi sanitaria, di cui 57 emersi nelle ultime 24 ore.
Il dato, con il 6,3 per cento dei tamponi positivi, è certamente in calo rispetto a un mese fa (il 19 marzo il rapporto era al 38,3 per cento). Anche se i numeri non sono lontanamente paragonabili a quelli della Lombardia, che conta 66.236 persone hanno contratto il virus Sars-CoV-2, rappresentano comunque un’eccezione rispetto a quelli di altre regioni del Centro Italia, come il Molise e l’Umbria, che contano rispettivamente 279 e 1348 casi. Non a caso le Marche, insieme alla Lombardia, sono la regione che secondo le previsioni degli esperti dovrebbe raggiungere per ultima l’obiettivo di “contagi zero”: verosimilmente non prima della fine di giugno.
Il caso della provincia di Pesaro Urbino: dati e cause del contagio
In particolare, la provincia di Pesaro Urbino è la più colpita dall’epidemia di Coronavirus nelle Marche: al 19 aprile ha registrato 449 vittime, oltre la metà degli 822 decessi registrati in tutta la regione. In totale sono finora 2.333 i positivi riscontrati nella provincia. A dare contezza della dimensione del contagio nella provincia di Pesaro Urbino sono i dati dell’incidenza giornaliera del contagio per provincia: mentre a Milano c’è un cittadino malato ogni 205 e a Bergamo uno ogni 104 abitanti, a Pesaro Urbino ce n’è uno ogni 155. Ma perché numeri così alti rispetto al resto del Centro Italia?
A provocare l’ondata di contagi nelle Marche è stato probabilmente l’evento sportivo “Final eight di Basket“, tenutosi proprio a Pesaro dal 13 al 16 febbraio scorso, che ha attirato nel capoluogo di provincia circa 35mila tifosi provenienti soprattutto dal Nord, come ricostruito dal quotidiano Il Resto del Carlino. “Probabilmente questa grandissima festa di sport, con una notevole concentrazione di persone, ha inciso”, ha spiegato il sindaco di Pesaro Matteo Ricci in un’intervista durante una puntata di Agorà. Potrebbe aver giocato un ruolo, inoltre, la fiera del gelato Sigep che si è tenuta a fine gennaio a Rimini, a una quarantina di chilometri a nord di Pesaro, di cui TPI si è già occupato in questo articolo. Anche il tasso di letalità del Coronavirus nella provincia (449 morti su 2.333 casi, pari al 19,2 per cento) è superiore a quello dell’intera regione (circa il 14 per cento) nonché alla media nazionale (13,2 per cento). Il dato di Pesaro Urbino è addirittura superiore all’attuale tasso lombardo del 18,4 per cento.
Il nuovo ospedale Covid-19 di Civitanova Marche
Per quanto riguarda la gestione dell’emergenza, il presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli ha destato inizialmente scalpore per la scelta di chiudere immediatamente le scuole, osteggiata in una prima fase dal governo. Con l’intensificarsi dell’emergenza, quando il sistema sanitario delle Marche – fortemente indebolito dai tagli dei decenni precedenti – è entrato in crisi, la Regione ha proposto per la creazione di nuovi posti letto in terapia intensiva dapprima il Palaindoor di Ancona, poi un Covid hospital galleggiante su una nave, infine la costruzione di una nuova struttura ospedaliera temporanea esclusivamente per casi Covid con una capienza di 90 posti letto di terapia intensiva, sulla base del “modello lombardo”, da realizzare a Civitanova Marche, nel Maceratese, a oltre 100 chilometri dal focolaio pesarese, con relativi problemi di spostamento di gran parte dei malati.
Ad occuparsi del nuovo ospedale è stato chiamato Guido Bertolaso, ex capo della Protezione Civile e già consulente proprio della Regione Lombardia, che si è occupato dell’analoga struttura a Milano. Il costo previsto per la realizzazione della struttura è di ben 12 milioni, da raccogliere attraverso donazioni private gestite dall’Ordine dei cavalieri di Malta. Ma il rischio è che la struttura sia pronta quando ormai l’emergenza delle terapie intensive sia superata, come già accaduto con l’ospedale di Milano Fiera: un ospedale costato 21 milioni che attualmente ospita solo 12 pazienti.
Lo scorso 17 aprile, dopo un sopralluogo nell’ex Fiera di Civitanova in cui sorgerà la nuova struttura sanitaria, Bertolaso ha assicurato che “sarà un ospedale dotato di tecnologie straordinarie, eccellenti”, che che, trattandosi di “un’iniziativa nuova”, “dev’essere digerita e assimilata dalla classe medica, che non è abituatissima alle novità e ai cambiamenti di strategia”. Ma siamo sicuri che il “modello lombardo” sia quello migliore da prendere come riferimento? Cosa ne sarà della struttura temporanea una volta che l’emergenza sarà finita? Perché non ripotenziare piuttosto gli ospedali già esistenti o quelli smantellati negli ultimi anni?
TPI ha provato a contattare sia il presidente Ceriscioli sia l’assessore Angelo Sciapichetti per porre queste domande, senza ottenere risposta. “La Fiera aveva tutta una serie di predisposizioni che nessun’altra struttura aveva”, ci ha spiegato il sindaco di Civitanova Marche Fabrizio Ciarapica, contattato telefonicamente. “La necessità era quella di costruire nel minor tempo possibile il numero maggiore di posti possibile e le Fiere nascono proprio per essere allestite più volte, quindi la nostra era la struttura più veloce da allestire”.
Ma a cosa serve spendere 12 milioni per 90 posti in terapia intensiva, se i dati sono ormai in calo? “Ricordiamo che parliamo di risorse private”, sottolinea in primo cittadino. “Non sono soldi pubblici, sono risorse donate dai cittadini. Ognuno con la sua donazione ha dato un’approvazione all’opera”. E aggiunge: “Non sappiamo cosa accadrà nei prossimi mesi, nessuno conosce davvero la portata di questo virus e il pericolo non è affatto scampato, dovremo conviverci per altri mesi. Avere un unico centro Covid permetterebbe agli altri ospedali di ripartire con l’attività ordinaria, penso sia importante dare una risposta ed essere pronti al peggio”.
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