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    “Il silenzio della vittima non è consenso”: giudice rinvia a giudizio 32enne accusato di violenza sessuale

    Di Giovanni Macchi
    Pubblicato il 6 Dic. 2022 alle 09:36 Aggiornato il 6 Dic. 2022 alle 09:37

    Il consenso a un rapporto sessuale deve essere esplicito, e il dissenso “si deve presumere laddove non esistano indici chiari e univoci volti a dimostrare il contrario”: lo ha stabilito il giudice per le indagini preliminari di Milano chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di archiviazione per molestie sessuali per un 32enne accusato di aver stuprato nel 2019 una ragazza di 27 anni con fragilità psichiche che nel frattempo si è tolta la vita. Dopo aver trascorso la serata in zona Navigli, la giovane si era fatta accompagnare a casa dall’accusato. “Mi disse che mi avrebbe dato un passaggio, perché una ragazza come me non può stare per strada. E io mi fidai”, il racconto della donna.

    L’uomo parcheggiò sotto casa sua e la portò dentro. “Allora smisi di parlare, mi chiusi a riccio e gli diedi la schiena”, prosegue il verbale della 27enne, che scappò solo dopo che il 32enne si era addormentato. Il pm ha chiesto l’archiviazione perché c’era la possibilità che l’uomo avesse “frainteso il silenzio della ragazza per l’ora tarda e la stanchezza”. Ma il gip ha respinto la richiesta, spiegando che “non esiste alcun indice normativo che possa porre a carico del soggetto passivo un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso alla intromissione di terzi nella sfera di intimità sessuale”. Tradotto, non è necessario che la presunta vittima esprima un dissenso esplicito, è il consenso a doverlo essere.

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