Intervista del direttore di TPI Giulio Gambino e Francesca Nava al professor Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità.
Insomma… Rispetto a un paio di settimane fa stiamo un po’ più calmi.
No. Mai. E io di epidemie ne ho fatte tante, eh. Forse sono quello che in Italia ne ha fatte di più.
Intanto sembra una vita fa. L’ho vissuta piuttosto intensamente e con un certo senso di responsabilità. E devo dire che il ministro Speranza mi sta a sentire abbastanza, anche se la politica ha la sua autonomia rispetto alla scienza. Il punto è che mi è sembrato che i paesi dell’estremo oriente fossero molto più preparati dei paesi occidentali nell’affrontare la pandemia.
Sono abituati a fronteggiare le epidemie da virus respiratori. Hanno dei meccanismi di reazione molto più rapidi: o sono regimi che riescono a imporre misure particolarmente restrittive, anche per le libertà individuali, oppure hanno grande fiducia e sono molto avvezzi alla tecnologia e all’innovazione. Faccio due esempi: Cina e Corea.
Sì, lì si usano e basta (ride). Mentre i paesi occidentali hanno dimostrato una certa impreparazione.
Io in luoghi chiusi la uso. Non all’aperto, ma nei luoghi chiusi sì. Ma non c’è una posizione unica.
No, al lavoro o al supermercato, in un posto pubblico. In questo senso dico al chiuso.
Se cammino da solo per strada no, non va usata.
Mah… Non lo so, direi poco. Nel senso che le condizioni sperimentali sono diverse da quelle reali. Dipende anche dalla concentrazione del virus negli aerosol. Probabilmente non è cosi alta come nelle goccioline, quelle più pesanti, di saliva.
L’Italia è stata più sfigata di altri paesi perché si è trovata per prima un virus dentro casa, arrivato dalla Cina. Qualcuno ha iniziato a tossire, magari aveva pochi sintomi. Magari sarà stato gennaio, al picco influenzale. Questo è successo.
L’Italia si è trovata in una situazione molto difficile da subito rispetto ad altri paesi europei, in particolare la Lombardia. E quindi si è dovuta in qualche modo anche inventare delle misure che non potevano essere le stesse di quelle dei cinesi. Anche perché i cinesi se non ti fanno fare qualcosa con le buone, te la fanno fare poi con con le cattive.
Chiaro che l’Italia poteva mutuare dalla Cina o dai Paesi dell’estremo oriente alcune misure che erano state prese, ma non poteva trasporle in un contesto occidentale. Quindi si è dovuta inventare quelle misure che sono state poi adottate. Siamo stati il primo paese a inventarle. E ci vuole un certo coraggio.
Altri paesi europei si sono trovati sotto gli occhi la situazione della Lombardia, che è una delle regioni che in tema ospedaliero è tra le migliori d’Europa. E hanno avuto anche più tempo per prepararsi a questa crisi. Ma non tutti hanno adottato le nostre stesse misure, vedi Spagna, Regno Unito, Usa. E poi l’Europa non ha risposto in modo coeso all’emergenza.
Per la popolazione molto anziana e per la struttura famigliare, molti anziani vivono ancora con i giovani. Poi c’è un fatto anche di numero di posti di terapia intensiva per abitanti. In Germania ad esempio è più alto che in Italia.
È noto a tutti che noi l’avevamo chiesta. Basandoci sui modelli e sui canali di trasmissione. Io ho sempre pensato che fosse un bene fare Zone Rosse. Un po’ ovunque. Come epidemiologo le dico che finché non ho un vaccino tengo tutto chiuso. Io faccio Xi Jinping.
(Ride) A me, piace, Xi Jinping…. (Ride di nuovo)
È stata presa la decisione di non fare zone rosse parcellari ma di alzare il livello di allerta a tutta la regione, seguita da una zona arancione in tutta Italia. Meno male perché altrimenti il Centro Sud avrebbe rischiato tantissimo e alcune regioni del sud in particolare sono meno attrezzate della Lombardia a rispondere.
Sì, ma io non faccio testo perché sono sempre favorevole a zone rosse e quarantena. Me se mi chiede se la responsabilità fosse del governo o della Regione non glielo so dire.
Guardi, io non glielo so dire. Io faccio una nota su base epidemiologica, poi queste cose le decide la politica autonomamente. Io do delle indicazioni al CTS – Comitato Tecnico Scientifico, non è che scrivo al politico.
Sono state prese decisioni diverse.
Sì, però dopo Codogno, per un periodo, non sono più state fatte Zone Rosse perché è stato alzato il livello in Lombardia e poi in tutta Italia. Il ragionamento che è stato fatto era: dovremmo fare troppe zone rosse che impiegano polizia, esercito e queste cose qua.
Beh sì, tra Stato e Regioni non c’è mai un perfetto accordo. Però ripeto: a chi spettasse, chi volesse, chi non volesse e i motivi io proprio non glieli so dire.
Appena è stata rilevata, è stata mandata, che io sappia. Appena si è posto il problema. Però dopo fu presa una decisione diversa.
Non lo so. Ripeto: Codogno è stato chiuso piuttosto rapidamente. Dopodiché, aver chiuso Codogno probabilmente non è stato sufficiente perché i buoi erano già scappati dal recinto. La verità è che da quando si è verificato il primo caso a Codogno era un mese che l’infezione stava in giro.
Assolutamente, su Codogno. Certo, io penso di sì, che ci fosse una grossa concentrazione su Codogno perché la situazione era già molto pesante. E il contagio era più diffuso di quello che ci si immaginasse. La diagnosi del primo caso è stata fatta il 20 febbraio, ma l’infezione di virus era in giro probabilmente da gennaio. E quindi i meccanismi di trasmissione si erano già verificati in tanti posti. In Lombardia e in Veneto, per esempio.
Il contagio si è alimentato tantissimo all’interno di ospedali e pronto soccorsi…
Certo. Lo dimostra il 10 per cento dei casi tra operatori sanitari. E poi il focolaio nosocomiale vuol dire che si allarga anche alle famiglie degli operatori.
No, perché a livello nazionale sa quanti episodi del genere si saranno verificati.
Perché ci sono stati degli interventi di contenimento e distanziamento sociale. Se non l’avessero fatto i primi di marzo probabilmente sarebbe arrivato.
Voglio essere ottimista e dico primo trimestre del 2021.
L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:
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- Contagio Coronavirus all’ospedale di Alzano: dopo l’inchiesta di TPI la Procura di Bergamo indaga per epidemia colposa
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