Chi sono i congiunti, il Governo: “Anche i fidanzati”
Da una prima interpretazione del Dpcm in vigore dal prossimo 4 maggio, a quanto si apprende dalle specifiche di Palazzo Chigi, con “congiunti” si intendono “parenti e affini, coniugi, conviventi, fidanzati stabili, affetti stabili”. Dunque si va verso un’interpretazione più ampia del termine utilizzato domenica 26 aprile dal premier Giuseppe Conte per annunciare l’avvio della Fase 2. Le Faq, che saranno pubblicate nei prossimi giorni sul sito del governo, chiariranno ulteriori dubbi e interpretazioni sul provvedimento.
Cosa dice il diritto sui congiunti
Il termine congiunto esiste certamente nella lingua italiana ma nel diritto è molto ambiguo e compare solo nel diritto penale. L’art. 307 4° comma c.p., dà una definizione di “prossimi congiunti” specificando che “agli effetti della legge penale, s’intendono per i prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole”.
La Corte di Cassazione nella sentenza 46351/2014 aveva dato una interpretazione più ampia (quindi anche di compagni non sposati) della definizione di “prossimo congiunto” ammettendo ai fini di un risarcimento la fidanzata della vittima ritenendo che in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo, si possa “prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali”.
Se arriviamo in tempi più recenti, la stessa corte di Cassazione (sez. VI penale) con la sentenza 14 marzo 2019, n.11476 aveva stabilito che anche due persone conviventi more uxorio siano da ritenersi “prossimi congiunti”. Al di fuori della legge penale non è assolutamente chiaro né compiutamente definito, da un punto di vista normativo, chi si debba intendere per “prossimo congiunto”, ancora meno per “congiunto”. Addirittura, a gennaio 2020 un’ordinanza (la 1825) della Corte di Cassazione a camere congiunte, dunque il massimo organo del diritto, si interroga sull’utilizzo giusto o meno di questa parola.
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