L’uso prolungato del telefono cellulare può causare tumori alla testa. Lo sostiene la Corte d’Appello di Torino che, oggi – martedì 14 gennaio – ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Ivrea, emessa nel 2017, sul caso sollevato da Roberto Romeo, dipendente Telecom Italia colpito da neurinoma del nervo acustico, che TPI aveva intervistato.
Cellulare e tumori: la correlazione
Secondo la Corte, “esiste una legge scientifica di copertura che supporta l’affermazione del nesso causale secondo i criteri probabilistici ‘più probabile che non’”. La sentenza della Corte d’Appello di Torino condanna l’Inail a corrispondere una rendita vitalizia da malattia professionale a un dipendente di Telecom Italia, Roberto Romeo, affetto da neurinoma del nervo acustico. Per i giudici c’è un nesso con l’utilizzo frequente del telefono fato dal lavoratore, anche 4 o 5 ore al giorno.
“Una sentenza storica, come lo era stata quella di Ivrea, la prima al mondo a confermare il nesso causa-effetto tra il tumore e l’uso del cellulare – spiegano gli avvocati Stefano Bertone e Renato Ambrosio dello studio Ambrosio&Commodo di Torino, che hanno seguito la vicenda – La nostra è una battaglia di sensibilizzazione. Manca informazione, eppure è una questione che interessa la salute dei cittadini. Basta usare il cellulare 30 minuti al giorno per 8 anni per essere a rischio”.
Il pronunciamento riapre il dibattito, ma l’estate scorsa un rapporto curato da Istituto Superiore di Sanità, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea non ha dato conferme all’aumento di neoplasie legato all’uso del cellulare.
Il caso di Roberto Romeo
La sentenza di primo grado risale all’aprile 2017 e condannava l’Inail a corrispondere una rendita vitalizia da malattia professionale al dipendente di una azienda cui era stato diagnosticato il tumore dopo che per 15 anni aveva usato il cellulare per più di tre ore al giorno senza protezioni.
Il consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice del Lavoro di Ivrea aveva riconosciuto un danno biologico permanente del 23 per cento, condannando l’INAIL al pagamento di un’indennità di circa 500 euro al mese per tutta la vita della vittima.