Caso Giulio Regeni, il capo della Polizia Gabrielli: “Verità esigenza per il Paese”
Sul caso Giulio Regeni parla il capo della Polizia Franco Gabrielli. “La collaborazione con l’Egitto e la ragion di Stato non possono offuscare la nostra volontà di chiedere il massimo delle risposte sul caso Regeni e comprimere il diritto alla verità”, dice il capo della Polizia.
“Il diritto alla verità”
Un’esigenza “che è di un famiglia e anche di un Paese intero”. Queste le parole del capo della Polizia Gabrielli a margine di un incontro con i rappresentanti di polizie di paesi africani, tra cui l’Egitto, chiedendo di non sovrapporre le due questioni. “A meno che non si decida che con l’Egitto non si devono avere rapporti” ha aggiunto.
“L’esigenza di mantenere la collaborazione non può e non deve comprimere il diritto di verità, una richiesta che non è solo di una famiglia ma dell’intero paese di fronte alla tragica fine di Giulio Regeni”, ha aggiunto Gabrielli.
“Poi c’è un altro tema quello della cooperazione e di questioni che sono comunque importanti per la sicurezza nazionale – ha spiegato – A meno che non si decida, senza l’ipocrisia che ogni tanto alberga in questo paese, che con l’Egitto non si debbano più avere più rapporti”.
46 mesi senza Giulio
Sono trascorsi quarantasei mesi da quando gli agenti della National security, il servizio segreto civile egiziano — oggi questo è possibile affermarlo con la certezza dell’indicativo — rapirono Giulio Regeni, ricercatore italiano all’università di Cambridge, al Cairo.
Erano le 19:41 del 25 gennaio 2016 quando Giulio uscì di casa, nel quartiere residenziale di Dokki, per raggiungere un amico in piazza Tahrir. Giulio entrò nella metropolitana circa dieci minuti dopo: alle19:51 le celle telefoniche agganciarono per l’ultima volta il segnale del suo cellulare. Da quel momento Giulio entrò nel buco nero del regime di Al Sisi. Il suo corpo fu ritrovato nove giorni dopo, il 3 febbraio, abbandonato sul ciglio della strada che dal Cairo corre verso Alessandria, sul cavalcavia Hazem Hassan. Era senza vestiti e il suo corpo era stato usato come una lavagna dell’orrore: portava infatti i segni di giorni di tortura.
Le indagini sono portate avanti dai magistrati della procura di Roma e dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco che coordina le indagini.
La piattaforma Regenifiles
Intanto, il quotidiano Repubblica ha lanciato la piattaforma “Regenifiles” dove chiunque, in modo anonimo e sicuro, potrà inviare informazioni o documenti utili all’accertamento della verità sull’omicidio di Giulio Regeni.
La piattaforma è stata sviluppata sulla base di GlobaLeaks, un software sviluppato dalla no-profit italiana Hermes Center e le segnalazioni arriveranno in maniera assolutamente anonima ai legali della famiglia Regeni.