Sono passati più di 24 anni da quella terribile notte. Era il 4 maggio 1998 e all’interno della Città del Vaticano, nell’alloggio del nuovo comandante della Guardia Svizzera Pontificia, vengono rinvenuti i cadaveri di tre persone uccise a colpi di arma da fuoco. Si tratta del neocomandante colonnello Alois Estermann, di sua moglie Gladys Meza Romero e del giovane vice caporale Cédric Tornay. Il giorno seguente, il portavoce papale dichiara alla stampa che si sarebbe trattato di un raptus di follia di Tornay, scatenato da una mancata promozione, che lo avrebbe portato prima a uccidere i coniugi Estermann e poi a suicidarsi.
Vista la natura singolare del caso, da subito attorno alla vicenda iniziano a formarsi diverse ipotesi, più o meno credibili, alcune ai limiti del complotto: Alois Estermann sarebbe stato una spia della Stasi, il servizio segreto dell’ex Germania Est; altre voci alludono a un delitto di tipo passionale, basato su una presunta relazione omosessuale tra Cédric e il colonnello Estermann o su un torbido ménage à trois tra Cédric, il comandante e sua moglie. Addirittura c’è chi sostiene che Tornay e Estermann facessero parte di un giro di prostituzione gay tra gli alti prelati e nobili romani; la tesi ufficiale, diffusa dalla Santa Sede, parla invece di un presunto comportamento aggressivo e impulsivo del vice caporale e di rapporti burrascosi col suo superiore Estermann, tanto da spingerlo a compiere una strage.
A suffragare questa tesi ci sarebbero i risultati dell’autopsia effettuata sul corpo di Tornay dal Vaticano, che avrebbe rilevato la presenza di una cisti subaracnoidea, in grado di causare un comportamento disinibito e irresponsabile. A questo dato si aggiunse il rinvenimento di tracce di cannabis nelle urine di Tornay e la presenza di 24 mozziconi di sigarette contenenti cannabis sul tavolo dell’appartamento. Nonostante le ambiguità e i punti oscuri della vicenda, l’Istituzione ecclesiastica non inviò mai alcuna richiesta d’aiuto o di collaborazione alle autorità italiane.
Il caso Estermann non rappresenta però un unicum nella storia recente della Chiesa cattolica: a questa vicenda si intrecciano i fili di altri misteri o casi irrisolti, come l’attentato a Giovanni Paolo II del 13 maggio 1981, il coinvolgimento della Banca Vaticana nel fallimento del Banco Ambrosiano, la scomparsa di Emanuela Orlandi, i rapporti opachi e mai chiariti con la Banda della Magliana e il ruolo ambiguo dei servizi segreti, delle logge massoniche e dell’Opus Dei in queste e altre oscure vicende.
La madre di Cédric Tornay, Muguette Baudat, fin da subito, si disse convinta che la storia fosse andata diversamente e in tutti questi anni non ha mai smesso di cercare la verità, scontrandosi più volte con il muro di reticenza e di bugie eretto dal Vaticano. I legali francesi della signora Baudat hanno più volte chiesto la riapertura dell’inchiesta, ma la loro domanda è stata sempre respinta dalla Corte d’Appello del Vaticano. Il 13 dicembre 2019 la nuova avvocata di Baudat, Laura Sgrò, la stessa di Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, scomparsa ormai 39 anni fa, ha depositato un’istanza di accesso al fascicolo integrale del Tribunale vaticano, rilevando numerose «criticità» nella ricostruzione dei fatti e la possibilità di presentare «nuove prove».
Dopo più di due anni di silenzio, il 30 marzo 2021, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, è intervenuto personalmente sul caso per chiedere al Tribunale di dedicare «particolare attenzione» all’istanza di Muguette Baudat di accedere al fascicolo delle indagini, «al fine di venire incontro al desiderio comprensibile della signora Baudat e gli altri familiari di Cédric di conoscere i particolari di quella vicenda così dolorosa». Ad oggi, a più di tre anni dalla richiesta originale, il giudice unico non si è ancora espresso in merito alla vicenda, confermando la validità della sentenza di archiviazione, emessa nel lontano 1999.
«La vicenda Estermann, al pari dei grandi gialli vaticani ambientati nei primi anni Ottanta, dal fallito attentato al Papa al sequestro di Emanuela Orlandi, rappresenta una pagina nera all’ombra del Cupolone», racconta a TPI Fabrizio Peronaci, giornalista d’inchiesta del Corriere della Sera e autore del libro “Il crimine del secolo” (Fandango Libri, 2021). «La ricostruzione della scena del crimine e l’autopsia fanno emergere con forza il sospetto che non si trattò di un omicidio da parte del giovane Cédric ai danni del neocomandante della guardia svizzera e di sua moglie, seguito dal suicidio del vice caporale, ma di una perfetta messinscena ordita da un apparato criminale e spionistico intenzionato a eliminare Estermann, che proprio quel giorno prendeva servizio come numero uno del corpo di sicurezza pontificia.
I dubbi sono tanti – aggiunge -, dal foro nel cranio di Cedric, non compatibile con i proiettili della pistola da lui usata, agli errori e alle incongruenze della sua lettera d’addio, utilizzata come prova del presunto suicidio, ma che fu quasi certamente opera di un falsario. D’altra parte, nelle indagini caratterizzate da forti reticenze, non è stato approfondito il ruolo di Estermann né sul versante di possibili contatti con polizie segrete del mondo dell’Est né su quello delle forti opposizioni alla sua nomina in ambienti ecclesiastici».
Su questo caso è basato lo spettacolo teatrale che ha aperto la stagione teatrale dell’Off/Off Theatre di Roma lo scorso martedì 25 ottobre. Scritto e diretto da Giovanni Franci, già autore dell’opera L’Effetto Che Fa, ispirata all’omicidio Varani che sconvolse la capitale nel 2016, Il caso Estermann è andato in scena fino a domenica 30 ottobre.
«È stato il direttore dell’Off/Off Theatre, Silvano Spada, a suggerirmi di portare in scena questo caso», racconta il regista a TPI. «Inizialmente la mia conoscenza della vicenda era vaga e superficiale: mi ricordavo di una storia morbosa che interessava tre personaggi, ma indagando più a fondo ho scoperto tutte le ombre e le contraddizioni che lo hanno contraddistinto». A smontare la tesi ufficiale vaticana furono soprattutto gli esiti della seconda autopsia effettuata sul corpo di Tornay, su richiesta della madre, dall’Istituto medico legale di Losanna, il 14 maggio 1999.
Dai risultati emerse infatti che non c’era alcuna traccia della ciste al cervello che avrebbe dovuto giustificare il raptus di follia; inoltre, venne scoperta una frattura alla base del cranio probabilmente causata da un colpo ricevuto sopra l’orecchio sinistro; in più, il foro del proiettile rinvenuto nel cranio aveva un diametro di 7 mm, mentre la sua pistola era una calibro nove. «In un certo senso», aggiunge Franci, «questo spettacolo è legato a quello ispirato all’omicidio Varani: entrambi nascono infatti dalla sfida di parlare di argomenti scomodi o tabù».
Dal punto di vista scenico, lo spettacolo si apre con un’assemblea che si rivolge direttamente al pubblico. L’idea è quella di celebrare il processo ideale che non si è mai svolto. Il pubblico è chiamato a rappresentare una sorta di quarto protagonista, che partecipa non fisicamente, ma emotivamente alla storia. «Per noi italiani le ambiguità e i misteri del Vaticano sono diventati una spaventosa normalità alla quale ci siamo abituati», spiega l’autore. «La risposta del segretario di Stato vaticano Parolin alla madre di Tornay è un segnale positivo, ma arriva troppo tardi.
Oggi, come nel caso Orlandi, molti dei testimoni chiave e degli indiziati sono morti. La scelta di far passare tutto questo tempo è voluta. Cambiano i Papi, ma il muro di gomma resta sempre in piedi. Purtroppo non mi sembra di scorgere grandi cambiamenti all’orizzonte».
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