Caserma sequestrata a Piacenza, Montella: “Adesso siamo solo noi”
Emergono nuovi dettagli sull’indagine che ha portato all’arresto di quattro carabinieri della Caserma Levante di Piacenza, teatro di un traffico di droga alimentato per ben tre anni dalle torture e dalle estorsioni inflitte dalle forze dell’ordine a cittadini e piccoli spacciatori. Un periodo in cui i Carabinieri del comando provinciale hanno agito pressoché indisturbati nella gestione del giro di sostanze stupefacenti da milioni di euro, con la complicità dei pusher della zona. Come riportato dal Corriere della Sera, il principale artefice degli illeciti, l’appuntato Peppe Montella, aveva un rapporto di amicizia molto stretto con uno degli spacciatori più attivi dell’area, Tiziano Gherardi, che sui social si faceva chiamare “Mezzo Kg”. È con lui che, al telefono, Montella si vantava di essere rimasti “i primi” della zona. “Noi dobbiamo viaggiare a numero uno, i numeri due li lasciamo agli altri, adesso a Piacenza poi stiamo solo noi… perché a Piacenza non ce n’è più nessuno”, si ascolta nelle intercettazioni. “Noi ieri abbiamo venduto venti chili”.
Nonostante le amicizie dell’appuntato fossero note, nessuno tra i superiori di Montella ha mai segnalato la strana complicità tra pusher e carabiniere. “Tali frequentazioni apparivano, fin da subito, in evidente contrasto con lo status rivestito e l’attività svolta all’interno della stazione Carabinieri di Piacenza Levante soprattutto considerato il coinvolgimento di Giardino e Gherardi in attività di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti anche volte all’approvvigionamento della piazza piacentina”, ricostruiscono gli inquirenti, coordinati dal procuratore Grazia Pradella e dai pm Antonio Colonna e Matteo Centini.
Montella utilizzava la sua rete di conoscenze nell’Arma per spostare chili di marijuana, di cui organizzava il trasporto sfuggendo ai controlli. Ufficialmente gestiva attività di “bonifica dei caselli autostradali” e “di scorta a tutela del trasporto di stupefacenti”: di fatto, verificava “la presenza di controlli o pattuglie lungo il tragitto”, reperiva “informazioni sulle indagini” e dissuadeva i colleghi finanzieri dal controllo di alcuni camion ai posti di blocco. Poi raccontava tutto alla sua complice, la moglie Maria Luisa Cattaneo, ora agli arresti domiciliari, e al figlio undicenne, a cui una volta disse del pestaggio di un “n***o che scappava”. “Montella è un carabiniere dalla doppia vita”, che vive in una sorta di “poliziesco anni ‘70”, ma dove “i soprusi e le percosse non sono una finzione scenica”, spiegano gli investigatori.
Nel corso degli interrogatori, gli inquirenti hanno sentito anche Giacomo Falanga, uno dei carabinieri arrestati, il quale ha raccontato che la celebre fotografia con i soldi in mano scattata accanto a due spacciatori, raffigurava “una vincita al gratta e vinci 5 anni fa”. E ha definito la storia del nigeriano pestato “una spacconata di Montella”. “È caduto durante l’inseguimento”, ha dichiarato Falanga nell’interrogatorio di garanzia. Il suo legale, Daniele Mancini, ha inoltre affermato che la foto che ritraeva il suo cliente insieme a Montella e agli spacciatori Simone e Daniele Giardino, “non ha nulla a che vedere con Gomorra. “Viene dai social, è del 2016, era su Facebook con tanto di commenti ed è il frutto di una vincita al gratta e vinci”, ha ribadito l’avvocato.
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